Saturday, March 11, 2006

Gioco di parole

This is a poem I wrote some weeks ago. The emphasis is on the play of words, but I think that there’s also a hidden sense of ennui, thematically speaking. However, what I like most in it is the rhythm.

Gioco di parole

Je suis Patrick
sur les montagnes...
e non so perché
per dove
per quando
so solo
che solo
mi trovo
e provo
di nuovo
ma niente nulla nessuno
mi capisce
mi rapisce
solo
la lettura
la scrittura
il gioco delle parole
che partono e soffrono
con me meschino
a loro m’inchino
l’inchiostro rapino
perfino la carta
che copro di rosso
di nero, di blu
lettere, parole, frasi,
paragrafi, pagine, racconti,
romanzi, volumi, luci
pazzie, profezie, pensieri
incubi brutti e belli
son tutti son pochi
son forti son fiochi
e giochi di parole
solo soltanto da solo
je suis Patrick
rien ne va plus...

Friday, March 10, 2006

Letteratura della Resistenza - Introduzione

1.1 Letteratura della Resistenza o Letteratura sulla Resistenza? Rottura o continuità?

Cercando di tracciare un primo bilancio della letteratura italiana sulla Resistenza, Italo Calvino scrive così nel primo numero dei quaderni del “Movimento di Liberazione Italiano” (1949):

Un primo bilancio può dar luogo a giudizi tutt’affatto differenti, a seconda che si ponga dal punto di vista della Resistenza o da quello della letteratura. Perché a chi si chiede se la letteratura italiana ha dato qualche opera in cui si possa riconoscere ‘tutta la Resistenza’ (e intendo tutta anche parlando d’un solo villaggio, d’un solo gruppo, tutto come ‘spirito’) una opera letteraria possa dire veramente di sé: ‘io rappresento la Resistenza’, l’indubbia risposta è: ‘Purtroppo non ancora’. Mentre invece a chi si chiede se la Resistenza ha ‘dato’ alla letteratura e ai letterati, se la letteratura italiana si è arricchita attraverso l’esperienza della Resistenza, di qualcosa di nuovo e di necessario, io credo si debba rispondere risolutamente: ‘Sì’. [1] GIORGIO LUTI, “Resistenza e letteratura”, Fascismo lotta di liberazione dopoguerra. Lezioni di storia, cultura, economia, Istituto Storico della Resistenza in Toscana, Firenze 1975, p. 198.

Tale affermazione porta perciò a quello che scrive Giorgio Luti [2] Ibid., cioè che, in Italia, più di letteratura della Resistenza si deve parlare di letteratura sulla Resistenza, una distinzione trattata direttamente già prima da Mario Saccenti [3] M. SACCENTI, “Letteratura della Resistenza”, Dizionario critico della letteratura italiana, Vol. 3, UTET, Torino 1973, p. 177.. Giuseppe Petronio scrive di una tale distinzione [4] G. PETRONIO, L’attività letteraria in Italia, Palumbo, Firenze 1982, pp. 918-919.. Egli cita come esempi della letteratura della Resistenza i canti nati nel vivo della lotta partigiana, i giornali della Resistenza [5] HARRY STONE, Writing in the Shadow. Resistance Publications in Occupied Europe, Frank Cass, London 1996. e le lettere dei condannati a morte della Resistenza. Invece, la letteratura sulla Resistenza fu scritta più tardi, spesso da persone che non furono letterati di mestiere ma da uomini che parteciparono in prima persona a quegli eventi e vollero conservarli in forma stampata, scrittori come Dante Livio Bianco, Mario Rigoni Stern e altri trattati più avanti in questo capitolo.

Per Giorgio Luti il periodo della lotta partigiana segnerà, in parte, il clima letterario degli anni seguenti (post-1945). Inoltre la Resistenza viene considerata come un fenomeno nato dal basso e “come espressione di una rinascita popolare a livello civile e morale che dette i suoi frutti positivi anche nello spazio della cultura borghese” [6] G. LUTI, “Resistenza e letteratura”, cit., p. 201.. Ritengo opportuno riportare i commenti di due altri studiosi della letteratura resistenziale. Il primo, Angelo Paoluzi, scrive: “Due sono i caratteri principali sui quali gli scrittori hanno [...] in Italia e altrove, messo l’accento: l’impegno civile del resistente, e il carattere religioso (in senso lato) che la lotta partigiana ha assunto” [7] A. PAOLUZI, La letteratura della Resistenza, Edizioni 3 Lune, 1956, p. 7.. Continua più avanti: “La Resistenza, tra gli altri meriti, ebbe quello di dar vita a una letteratura vivida, parte della quale fu chiamata impropriamente neorealismo. Dalla lotta era uscito un uomo nuovo, intorno a lui si articola una vitale narrativa, non sofisticata da bolse apologie” [8] Ibid., p. 54.. Il secondo, Giovanni Falaschi, scrive:

Gli autori partigiani si rivolgono ad una comunità di ascoltatori culturalmente e socialmente omogenea alla quale ritengono di appartenere essi stessi; la garanzia di tale uguaglianza è data da un’esperienza storica comune fatta da chi racconta e da chi ascolta [...] Il narratore non viene da lontano a raccontare fatti mai visti, con una materia prefabbricata, ma attinge ad una memoria collettiva comune a sè e agli uditori [9] G. FALASCHI La Resistenza armata nella narrativa italiana, Einaudi, Torino, 1976, pp. 59-60..

Per Sergio Pautasso il neorealismo invece di inventare il nuovo mondo che si andava a quel tempo ricostruendo, ossia di interpretarlo letterariamente, portava al nuovo mondo un contributo vivo e autentico: la testimonianza dello scrittore. Allo scrittore nuovo:

[sembrava] non esserci altra via che raccontare storie di vita vissuta, della propria o di quella che aveva visto svolgersi attorno a lui; e ambientarle nel clima da cui si era appena usciti: la guerra, la Resistenza; oppure proiettarle nella realtà quotidiana che alla guerra faceva seguito, una realtà tramata d’ira e di disperazione, ma anche di speranza, di fede, di volontà di sopravvivere [...] i pochi mesi della Resistenza, sembravano rappresentare una miniera ricchissima in cui erano racchiusi tutti i fatti e tutte le esperienze che uno scrittore sentiva di dover raccontare [10] S. PAUTASSO, Il Laboratorio dello scrittore – Temi, idee, techniche della letteratura del novecento, La Nuova Italia, Firenze 1981, pp. 21-22..

Malgrado questo Pautasso considera scrittori come Pavese (la prima parte de Il Compagno) e Vittorini (il corsivo di Uomini e No) tra quelli che sono sì partiti dall’ideologia e dagli avvenimenti, ma che sono riusciti a distaccarsi dallo scrittore prettamente neorealista raggiungendo una certa innovazione o autonoma ricerca letteraria. A questi Pautasso aggiunge anche Il Sentiero dei Nidi di Ragno che rivela molto di più che storie di guerra o di guerriglia o della vita che si svolgevano negli anni dell’immediato dopoguerra. Tra gli aspetti d’innovazione menzionati da Pautasso, riguardo al romanzo che Calvino pubblica nel 1947, c’è l’originalità tematica, nel senso che la guerra partigiana viene vista tramite un gruppo di sbandati e di anti-eroi, e come osservazione “fa assurgere a protagonista un ragazzo [...] e adotta il suo punto di vista per raccontare ciò che avviene al distaccamento del Dritto.” [11] Ibid. p.26.

Secondo Giorgio Luti la Resistenza - storicamente nata l’8 settembre del 1943 con l’Armistizio - propose un aspetto nuovo alla cultura italiana e anche in questo caso Luti cita ancora Calvino: tale novità riguarda “[...] il realizzarsi per la prima volta dopo molto tempo, d’un denominatore comune tra lo scrittore e la sua società, l’inizio di un nuovo rapporto tra i due termini”, poiché “sia che lo scrittore partecipasse direttamente alla lotta, sia che semplicimente subisse l’invasione e i suoi pericoli insieme alla sua gente, era in ogni modo necessitato a trovare l’innesto tra i suoi problematismi e il sentimento collettivo” [12] G. LUTI, “Resistenza e letteratura”, cit., p.200.. Luti scrive che per Calvino,

[si andava stabilendo] la necessità per la nostra letteratura di riprendere il desanctisiano ufficio di specchio della coscienza morale e civile della nazione, scoprendo infine quali vie la Resistenza riaprisse alla nostra cultura letteraria per giungere ad essere finalmente ‘letteratura nazionale’ nella sua accezione moderna di ‘letteratura delle grandi masse nazionali attive’. [13] Ibid.

A questo punto sarebbe bene tenere in mente quello che scrive Mario Saccenti [14] M. SACCENTI, “Letteratura della Resistenza”, cit., pp.184-185.: lui colloca l’anno 1945 - anno che portò la Liberazione dal dominio nazi-fascista – al centro fra due epoche, cioè quella anteriore e quella posteriore al ventennio fascista. Inoltre insiste sul fatto che anche se il 1945 fu un anno di svolta nei campi dell’arte, della cultura e della vita morale italiana, tale svolta non è stata immediata e miracolosa. Saccenti scrive di una “protostoria” che iniziò a profilarsi già tra gli anni 1925-1930, tramite opere come Gli Indifferenti (1929) e La Mascherata (1941) di Alberto Moravia, Paesi Tuoi (1941) di Cesare Pavese e Conversazione in Sicilia (1939) di Elio Vittorini, tutte opere che in vari modi “rompevano il conformismo imposto, o desiderato, dalla dittatura, studiavano nuovi rapporti con l’uomo e con la realtà, alludevano al malcostume e alla corruzione del tempo fascista.” [15] Ibid., p. 185.

Dall’altra parte, Angelo Paoluzi contrappone il periodo della dittatura, noto anche come il periodo della “grande noia” - composto da scrittori che si sono chiusi in se stessi, che hanno parlato per codici e che “non necessitavano di una presa immediata di contatto con la realtà viva intorno all’uomo, ma permettevano di rifugiarsi nella propria torre d’avorio” - alla letteratura fiorita dopo la Liberazione. [16] A. PAOLUZI, La letteratura della Resistenza, cit., p.12.

In questo riguardo Giorgio Luti prende la via di mezzo tra le tue teorie, vale a dire quella della novità/rottura e quella della continuità, affermando che la Resistenza è un fenomeno sì nuovo e di rottura, ma anche di continuità con la letteratura del ventennio fascista. L’idea qui è quella che la letteratura della Resistenza inizia già molto prima dell’8 settembre del 1943, in altre parole esattamente con la salita al potere del fascismo. [17] M. SACCENTI, “Letteratura della Resistenza”, cit., p.177. Esempi illustri sono le Lettere dal carcere di Gramsci come il “trait d’union tra letteratura antifascista e letteratura resistenziale” [18] G. LUTI, “Resistenza e letteratura”, cit., p.203. , e Gobetti, considerato come colui che promuove un “ concreto precorrimento dello spirito resistenziale” [19] Ibid..

Anche Anna Dolfi scrive di un’Italia che ha avuto “una Resistenza che si può far indietreggiare fino alla preparazione e all’avvento, tra il ’19 e il ’22, del fascismo (si pensi, negli anni immediatamente seguenti, alla funzione ‘civile’ degli Ossi di seppia montaliani [...]” [20] ANNA DOLFI, Le parole dell’assenza. Diacronie sul novecento, Bulzoni, Roma, 1996, p. 87.. Più avanti Dolfi sostiene che,

Piuttosto che una letteratura della Resistenza o sulla Resistenza, i nostri poeti e narratori, eredi di una tradizione fin troppo elitaria, mi pare ci abbiano proposto, prima, dopo, sovente anche durante il tragico esplodere degli avvenimenti, una scrittura per la Resistenza, quasi offerta votiva, testimonianza marginale in itenere, o riparazione postuma, segno residuo di un rimorso, di un lutto non fatto, di una ferita apertasi in ritardo e per questo forse più difficile da cicatrizzare. [21] Ibid., p. 88

Insieme a Gramsci e Gobetti (descritto dal Saccenti come “torinese [...] nemico implacabile del fascismo (nel quale vedeva [...] l’addensarsi di tutte le tare e le malattie della società italiana) [22] M. SACCENTI, “Letteratura della Resistenza”, cit., p.178. [...]” ), vengono elencati dallo stesso Saccenti [23] Ibid., p.181.: Giacomo Matteotti (socialista che denunciò i soprusi e i crimini del fascismo), Giovanni Amendola (politico e scrittore napoletano), Carlo Rosselli (diede vita a “Giustizia e Libertà”, il movimento che doveva confluire nel partito d’azione); Francesco Saverio Nitti (vecchio statista liberale), don Luigi Sturzo (fondatore del partito popolare), Gaetano Salvemini (cattedra di storia a Pisa e a Firenze, socialista e animatore del gruppo “Non mollare” coll’avvento del fascismo), Benedetto Croce (a partire dal 1924 fece capo a una grande parte dell’opposizione al fascismo), Giame Pintor (studioso romano, autore di Il sangue d’Europa - 1950 - poeta e traduttore di letteratura tedesca), e Leone Ginzburg (vero capo di “Giustizia e Libertà”, morto torturato in carcere nel 1943). [24] A. PAOLUZI, La letteratura della Resistenza, cit., pp. 24-29, 33, 37. In queste pagine l’autore scrive di personaggi anti-fascisti.

1.2 Le diverse forme della letteratura resistenziale.

La tematica della Resistenza prende forme diverse nel campo letterario. Giorgio Luti [25] G. LUTI, “Resistenza e letteratura”, cit., pp. 206-219. fornisce almeno cinque categorie provvisorie importanti.

1.3 Stampa clandestina, memorialistica, diaristica, racconti e poesia scritti a caldo.

La prima categoria è legata alla produzione di una letteratura spontanea e in gran parte anonima che si trova nella stampa clandestina. [26] DOMENICO TARIZZO, Come scriveva la Resistenza - Filologia della stampa clandestina 1943-1945, 3 Dimensioni, La Nuova Italia, Firenze 1969. Delle riviste antifasciste scrive anche A. PAOLUZI, , cit., pp. 16, 36. Anche G. FALASCHI, dedica un intero capitolo a questo proposito, intitolato “Lingua e letteratura della stampa partigiana”, Einaudi, Torino 1976. Quella che segue è la categoria che raggruppa insieme i diari e le memorie (che Luti chiama anche “cronache partigiane” [27] G. LUTI, “Resistenza e letteratura”, cit., p. 213.) scritti a caldo, cioè durante la guerra civile. Sono opere scritte da persone ben individuabili, molte delle volte protagonisti della lotta armata, chiamati “partigiani-scrittori”.

Scrivendo di memorialistica, Saccenti dà molta importanza anche alle opere scritte da donne come Barbara Allason, con Memorie di un’antifascista (1919-1940) uscito nel 1946, Bianca Ceva, con Tempi dei vivi (1943-1945), uscito nel 1954, Marina Sereni, con I giorni della nostra vita, del 1955, e Ada Gobetti, con Diario partigiano, del 1956 [28] M. SACCENTI, “Letteratura della Resistenza”, cit., pp. 181-182.. Oltre a Bianca Ceva, Paoluzi menziona anche Croce sulla schiena di Ida D’Este [29] A. PAOLUZI, La letteratura della Resistenza, cit., p. 51.. Anche Falaschi dedica un intero capitolo alla memorialistica [30] G. FALASCHI, La Resistenza armata, cit., pp. 25-53., una categoria, secondo lui, che può essere considerata come una forma “teoreticamente primitiva di antiromanzo” [31] Ibid., p.28.. Sotto la categoria diaristica e memorialistica vanno anche incluse le lettere dei condannati a morte [32] M. SACCENTI, “Letteratura della Resistenza”, cit., p.182. GIORGIO LUTI, L’utopia della pace nella Resistenza. Lettere e testimonianza, Edizioni Cultura della Pace, San Domenico di Fiesole, 1987, pp. 46-72 e pp. 115-129 e La letteratura partigiana in Italia 1943-1945, Editori Riuniti, Roma 1984. .

La terza categoria di cui scrive Luti è quella dei racconti e delle poesie clandestini, scritti da letterati partigiani. A livello di racconto (ma, più tardi, anche di romanzo), alcuni degli argomenti trattati sono la morte e la prevaricazione della forza sul diritto, la fucilazione di una spia o di partigiani colpevoli di furto, la violenza partigiana ingiustificata, e l’eroe partigiano [33] G. FALASCHI, La Resistenza armata, pp. 60-62..

1.4 Letteratura sulla resistenza degli anni del dopoguerra.

Le opere che saranno prese in considerazione nella presente tesi appartengono alla quarta categoria, descritta da Luti come “letteratura sulla resistenza prospettata negli anni del dopoguerra come ripensamento e bilancio a posteriori di un’esperienza conclusa” [34] G. LUTI, “Resistenza e letteratura”, cit., p.207. in cui “si realizza più o meno compiutamente la fusione organica tra intento letterario e partecipazione umana” [35] Ibid., p.215. Tali opere (sia narrative sia poetiche) presenteranno lo scrittore come protagonista e perciò adopereranno l’io narrante. Sono anche opere nelle quali la letteratura riassume il suo ruolo primario, mentre la tematica resistenziale verrà retrogradata ad un secondo piano. Tra queste opere Luti elenca Uomini e no di Elio Vittorini, Il mio cuore a Ponte Milvio di Vasco Pratolini, Il sentiero dei nidi di ragno e Ultimo viene il corvo di Italo Calvino, I ventitré giorni della città di Alba e Il partigiano Johnny di Beppe Fenoglio, Fausto e Anna e I vecchi compagni di Carlo Cassola, L’Agnese va a morire di Renata Viganò, La casa in collina e La luna e i falò di Cesare Pavese, Tutti i nostri ieri di Natalia Ginzburg, e La guerra finisce, la guerra continua di Maria Luigia Guaita (quest’ultima inclusa sotto la sezione della memorialistica femminile da Saccenti). Sono questi gli scrittori che, come scrive Paoluzi, “a guerra finita [...] hanno tentato [...] di trasfigurarne la materia incandescente [la Resistenza], di risparmiarla e consegnarla al loro prossimo, il lettore, come testimonianza di un tempo da tutti vissuto” [36] A. PAOLUZI, La letteratura della Resistenza,cit., p.10..

Di questa quarta categoria di Luti, Saccenti scrive così:

[una] narrativa che dal 1945 in poi, ricca di documenti della tirannide e della guerra, sospinta dalle idee, dai sentimenti, dalle scoperte della Resistenza, procedeva ad un approfondimento dell’Italia popolare, ad una diretta visione e cognizione del reale (e che, anche nel suo evidente rapporto con gli splendidi frutti cinematografici [37] Roma città aperta. Dir. Roberto Rossellini. 1945. Sciuscia. Dir. Vittorio De Sica. 1946. Il bandito. Dir. Alberto Lattuada. 1946. Paisà. Dir. R. Rossellini. 1947. Caccia tragica. Dir. Giuseppe De Santis. 1947. Ladri di biciclette. Dir. V. De Sica. 1948. Alan R. PERRY in “The Holy Partisan-martyr as Hero”, in Forum Italicum 1999, Fall 33 (2), pp. 433-457, scrive degli aspetti che accomunano Roma, città aperta (Dir. Roberto Rossellini) e L’Agnese va a morire (Dir. Renata Viganò) – centrale è la figura della donna-martire come eroina di guerra in ambedue le opere. della nuova stagione artistica e morale, giustificava le espressioni di realismo o neorealismo, tuttora legittime in un’accezione aperta e duttile) [...] [38] M. SACCENTI, “Letteratura della Resistenza, cit., p.184. Anche A. PAOLUZI, , a pagine 40-43 e pagine 64-65 scrive di questi scrittori.

È importante anche il fatto che Saccenti aggiunge una nota che non si trova nel saggio di Luti [39] Ibid., cioè il fatto che anche quella del dopoguerra è una letteratura regionale. Basta menzionare come esempi L’Agnese va a morire di Viganò, legato ai paesaggi fra la bassa ferrarese e le valli di Comacchio, I ventitré giorni della città di Alba di Fenoglio, legato alle Langhe, Il sentiero dei nidi di ragno di Calvino, legato al carruggio genovese, Paura all’alba (1945) di Arrigo Benedetti, legato all’Appennino Reggiano, e Lapide in via Mazzini e Una notte del ’43 (usciti nel 1956, in Cinque storie ferraresi) di Giorgio Bassani, legati a Ferrara. Lo stesso aveva fatto Paoluzzi [40] Ibid., (1956), pp. 29-30., menzionando Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi, legato alla Lucania, Cronache di poveri amanti di Vasco Pratolini, legato al quartiere fiorentino, e l’Abruzzo di Ignazio Silone (basta ricordare Fontamara).

A questa quarta categoria appartiene anche la produzione poetica, trattata in modo particolare da Elio Filippo Acrocca e Valerio Volpini nel volume Antologia poetica della Resistenza italiana [41] Edizione San Giovanni, Landi, 1955. Per la poesia dedicata alla Resistenza vedere anche A. PAOLUZI, cit., pp. 55-59..

La quinta categoria riguarda “la letteratura dedicata all’esame critico del ventennio, alle tragiche testimonianze di guerra, alle deportazioni e ai campi di concentramento, cioè alla letteratura antifascista (quindi non solo resistenziale), nata come conseguente ripensamento degli eventi conclusi” [42] G. LUTI, “Resistenza e letteratura”, cit., p.207.. È anche una letteratura molto cosciente della sua dimensione aristocratica. Altre opere appartenenti a questa categoria sono La ragazza di Bube di Carlo Cassola, Il clandestino di Mario Tobino, Storie ferraresi di Giorgio Bassani, e anche Se questo è un uomo di Primo Levi, Si fa presto a dire fame di Piero Caleffi, e Il campo degli ufficiali di Giampiero Carocci.

1.5 IL ROMANZO DEL DOPOGUERRA NELL’ EUROPA ORIENTALE.

1.5.1 In Russia
[43] Per il romanzo russo ho consultato i seguenti libri: NEIL CORNWELL, (ed.) Reference Guide to Russian Literature, Fitzroy Dearborn Publishers, London-Chicago, 1998; PAUL SCHELLINGER, (ed.) Encyclopedia of the Novel, Volumes 1 e 2, Fitzroy Dearborn Publishers, London-Chicago, 1998. Si veda pure ARNOLD MCMILLIN, “The Second World War in Official and Unofficial Russian Prose”, in HIGGINS, Ian, (ed.) The Second World War in Literature, Scottish Academic Press, Edinburgh 1986. pp. 19-31.

Durante i primi anni del dopoguerra il romanzo russo continuò a essere legato ai precetti del realismo socialista degli anni ’30. Gli scrittori russi poterono godere una relativa libertà durante la Seconda Guerra Mondiale, ma già dal 1946 la letteratura dovette sopportare di nuovo pressioni ideologiche. Perciò durante gli ultimi anni del potere staliniano, pochi romanzi di valore vennero prodotti anche se lo Stato continuò a sostenere gli scrittori conformisti. Tali opere comprendevano tante epiche che riguardavano la Rivoluzione e la guerra civile, inclusa la guerra recente.

Aleksandr Fadeev pubblicò nel 1946 La giovane guardia, una storia drammatica di una organizzazione clandestina operante in un villaggio ucraino sotto l’occupazione nazista. L’autore rivelò la maturità politica degli uomini e delle donne giovani, che riuscirono a organizzare una resistenza efficace senza la guida diretta dei funzionari del Partito locali.

I romanzi della guerra fecero un grande passo avanti dopo la morte di Stalin. Viktor Nekrasov pubblicò nel 1946 Nelle trincee di Stalingrado, un’opera che dette nome a un nuovo concetto della scrittura di guerra in Russia, cioè “la verità delle trincee”. Un altro romanzo sulla battaglia di Stalingrado è Vita e destino (1965) di Vasilii Grossman, pubblicato solo nel 1985 all’estero, nel quale l’autore mirò a distruggere il mito dell’unità sovietica durante la guerra e arrivò alla sgradevole conclusione che da un punto di vista ebreo non c’era differenza tra fascismo e comunismo.

Dopo la morte di Stalin il contenuto della letteratura si allargò rapidamente e il romanzo divenne ancora una volta un forum di dibattito e di discussione di nuove idee. Vladimir Dudintsev pubblicò nel 1957 Non solo col pane, il racconto della repressione di un giovane e abile ingegnere da parte dell’istituzione scientifica corrotta, che alla fine del romanzo rimane immutata. L’anno 1953 vide la pubblicazione di La foresta russa di Leonid Leonov, altro romanzo con temi scientifici e industriali. Il 1957 vide l’uscita a Milano del romanzo Il dottor Zhivago di Boris Pasternak, che fece vincere all’autore il Premio Nobel per la Letteratura. È un romanzo storico che però minimizza gli avvenimenti storici, dando più importanza al destino e alla condizione umana.

1.5.2 In Romania
[44] P. SCHELLINGER, Encyclopedia of the Novel.

Tra il 1948 e il 1960 la Romania, occupata dai sovietici, subì un processo di stalinizzazione che scombussolò la cultura e la società civile. Nel 1949, Sadoveanu, il decano della narrativa rumena, pubblicò Mitrea Cocor, che tratta di un opportunista che cambia l’occupazione sovietica a suo vantaggio. Zaharia Stancu nel 1962 pubblicò Una scommessa con la morte, dove esplora la città di Bucarest sotto l’occupazione tedesca, mentre in La tribù zingara (1968) tratta del destino di una comunità di zingari spostata dopo la guerra.

Nel 1962 Petru Dumitriu pubblicò il romanzo Incognito, nel quale denuncia il sistema spersonalizzante della dittatura comunista. Tale pubblicazione uscì per compensare i compromessi politici che Dumitriu fece in Romania col romanzo Uccello di tempesta (1952), nel quale cercò di giustificare l’esistenza di un gulag comunista rumeno.
Nel 1955 Titus Popovici pubblicò Lo straniero che presentò l’ambito provinciale così come vissuto da un eroe giovane durante gli anni traumatici della Seconda Guerra Mondiale. In L’autostrada settentrionale (1959) Eugen Barbu contrappose gli eroi comunisti ai malvagi fascisti.

1.5.3 In Polonia
[45] Ibid.

L’attacco tedesco sulla Polonia del 1 settembre del 1939 segnò l’inizio della Seconda Guerra Mondiale e la fine di un’epoca nella storia letteraria di quel paese. Gli scrittori polacchi che scelsero di rimanere in patria non potevano pubblicare le loro opere durante i seguenti cinque anni di occupazione tedesca. Invece gli scrittori che vissero sotto l’occupazione sovietica, poche settimane dopo il massacro tedesco, vennero deportati nei campi di concentramento e nei carceri sovietici, o prima ‘persuasi’ con la forza ad accettare le regole del ‘realismo socialista’, cioè a seguire il diktat politico e ideologico del partito comunista. La letteratura polacca potè continuare a vivere grazie ad un piccolo gruppo di scrittori che scelse di scappare all’estero, soprattutto in Francia, Gran Bretagna e gli Stati Uniti.

Il 1941 vide l’uscita di La via di Narvik di Ksawery Pruszyúski, soldato e giornalista. È un resoconto semi-fittizio dell’esperienza bellica delle truppe polacche che parteciparono ad una spedizione degli Alleati per difendere la Norvegia contro l’invasione tedesca nel 1940. Lo stesso Pruszyúski coniò l’etichetta “Letteratura della Polonia combattiva”, una letteratura che diventò la voce libera di una nazione in cattività per i successivi cinquant’anni, sfidando sia il controllo tedesco, sia l’indottrinazione sovietica che lo seguì.

Nel 1945 la Polonia venne incorporata nel blocco sovietico. Tra il 1945 e il 1948 le autorità presero il controllo del mercato editoriale, un mercato strettamente monitorato dal partito comunista. Gli scrittori polacchi si concentrarono su due problemi legati al passato prossimo: da una parte la politica del periodo tra le due guerre, dall’altra, l’esperienza della guerra nazionale. Nel primo caso vennero scritti pochi romanzi che criticarono lo Stato per non essere stato sufficientemente pronto a difendere il paese contro le invasioni tedesca e sovietica. Nel secondo caso i romanzi della guerra lodarono le truppe, puntando un dito accusatorio verso i ranghi militari più alti, che furuno ritenuti responsabili per la campagna persa.

I romanzi polacchi ricordarono anche la tragedia della Rivolta di Varsavia (1944) che risultò nella quasi totale distruzione della capitale. Uno dei romanzi che ricordò questa rivolta è In una casa in rovine dello scrittore cattolico Jan Dobraczynski, apparso nel 1946.

L’anno 1948 vide un altro romanzo scritto da uno scrittore cattolico, Jerzy Andrzejewski, intitolato Ceneri e diamanti. Quest’opera cercò di essere una rappresentazione oggettiva del conflitto armato tra i soldati giovani e patrioti dell’Armata Polacca Clandestina e dell’entrata in Polonia del regime comunista con le truppe sovietiche. Ceneri e diamanti fu tradotto in più di venti lingue e trasposto in una pellicola di successo da Andrej Wajda.

Nel 1949 l’Unione degli Scrittori Polacchi adottò il modello del realismo socialista e per i seguenti sei anni cercò di presentare ‘eroi positivi’, le presunte conquiste del sistema economico comunista e i conflitti sociali nella ‘lotta di classe’. Tali romanzi adoperarono lo schema bianco-nero, cioè i buoni (i comunisti) da una parte, e i cattivi (i capitalisti e i loro simpatizzanti) dall’altra, uno schema che non era mai piaciuto agli scrittori polacchi degli anni precedenti. Questi erano romanzi di qualità inferiore, tra i quali vanno annoverate le opere di Wojciech Zukrowski che nel 1952, il punto più alto del periodo del realismo socialista, pubblicò il romanzo I giorni del disastro. Questo romanzo seguì i passi di un giovane protagonista polacco fino al giorno del 17 settembre 1939, quando accolse i soldati sovietici invasori come ‘i liberatori’ del suo paese.

Igor Newerly (pseudonimo di Igor Abramov) nel 1952 scrisse il romanzo industriale Notte di rievocazione che si concentrò sullo sviluppo sociale di un giovane operaio nel sistema socialista appena stabilito.

Gli scrittori polacchi dovevano iscriversi all’Unione degli Scrittori Polacchi e seguire il suo diktat politico e tecnico-narrativo. Molti di loro seguirono alla parola tale intimazione per paura di essere perseguitati o per semplice necessità di sopravvivenza e questo ebbe conseguenze artistiche devastanti.

Ci fu anche un gruppo di scrittori ebrei che sopravvissero all’Olocausto e che vollero dare una testimonianza artistica sulla tragedia nazionale. Tra questi Adolf Rudnicki che scrisse il racconto Le finestre d’oro (1953), raccolto in Il mare morto e vivo e altri racconti. Egli narrò in modo commovente la Rivolta nel Ghetto di Varsavia del 1943. Le sue furono opere libere dalla propaganda comunista, un caso eccezionale durante gli anni 1949-1955, quando la pressione stalinista sulla letteratura polacca fu forte.

Nel 1954 venne registrato un passo avanti quando il realismo socialista venne sfidato nell’Unione Sovietica. Gli scrittori polacchi seguirono subito l’esempio, e ciò segnò la fine di una presentazione artificiale e politicamente motivata della vita contemporanea.

1.5.4 In Serbia
[46] Ibid.

Il romanzo serbo dopo la Seconda Guerra Mondiale ricevette un forte impeto dalla pubblicazione di tre romanzi di Ivo Andric nel 1945: Il ponte sul fiume Drina, Cronaca bosniaca e La donna di Sarajevo. Soprattutto grazie ai primi due romanzi Andric vinse il premio Nobel per la Letteratura nel 1961. Il ponte sul fiume Drina assunse proporzioni epiche e narrò la storia degli slavi meridionali dagli inizi del secolo sedicesimo fino alla Prima Guerra Mondiale. Presentò generazioni di serbi, croati e bosniaci, appartenenti alle fedi ortodossa, ebrea, cattolica e musulmana, presi nel bel mezzo della tempesta turbolenta della storia balcanica. Metaforicamente, il ponte servì come punto di contatto tra nazionalità diverse, legando l’Oriente all’Occidente.

L’anno 1950 segnò l’inizio della pubblicazione regolare di un numero di romanzi serbi di grande caratura, dopo un breve flirt con il realismo socialista. Il primo romanzo di questo tipo è Cerimonia nuziale (1950) di Michailo Lalic. Il successo letterario di Lalic venne nel 1959 con il romanzo La montagna che geme che narrò le prove e le sofferenze di un giovane capo partigiano in Montenegro durante la Seconda Guerra Mondiale. Tagliato fuori dai suoi compagni e circondato dai nemici, il protagonista venne costretto ad improvvisare per sopravvivere. Lalic adoperò questo sfondo esistenzialista per entrare nella mente e nell’anima del protagonista. S’interessò sia della guerra, sia del come il suo eroe reagiva alle situazioni quotidiane. L’opera presentò un misto di descrizioni realistiche, spesso naturalistiche, e d’indagine psicologica, ottenuta tramite sogni, allucinazioni e reminiscenze.

Anche Dobrica Cosic iniziò con un romanzo di successo che trattò della guerra partigiana, Lontani nel sole (1951). La tetralogia Questa terra, questo tempo (1972-1979) percorse la lotta dei serbi contro i loro rivali nella Prima Guerra. L’interesse principale di Cosic fu quello di trovare risposte a domande di tipo esistenziale.

Oscar Davico scrisse il romanzo Poesia (1952), un resoconto artistico della lotta clandestina dei giovani comunisti contro i tedeschi durante l’occupazione di Belgrado. Branko Copic scrisse anche numerosi romanzi sulla guerra partigiana e sulle sue conseguenze. Miodrag Bulatovic pubblicò tre romanzi provocatori per protestare contro la guerra e comportamenti inumani: Il gallo rosso vola verso il paradiso (1959), Un eroe su un asino (1964), e La guerra era meglio (1968). Nei suoi romanzi Danilo Kis si concentrò sulla tragedia dei propri parenti che morirono numerosi durante l’occupazione nazista. Giardino, ceneri (1965) fu un memoriale pungente di suo padre. Più tardi trattò il tema della crudeltà dell’uomo come esemplificata nelle atrocità naziste della Seconda Guerra e in quelle staliniste.


1.5.5 In Croazia
[47] Ibid.

Gli scrittori croati del dopoguerra si concentrarono sul mondo interiore dei loro personaggi. Tra questi, Petar Segedin nei romanzi Figli di Dio (1946) e Persone sole (1947). I romanzi di Vladan Desnica, La vacanza invernale (1950) e I tempi primaverili di Ivan Galeb (1957), mostrarono la preoccupazione esistenziale sempre più forte dello scrittore.

Invece Vjekoslav Kaleb adoperò il tema della guerra partigiana in Polvere gloriosa (1954) e Pietra bianca (1955), offrendo una descrizione realistica della guerra, ma anche cercando l’essere umano nel guerriero e la relazione tra il mondo interiore e esteriore del soldato. Anche Vojin Jelic iniziò a scrivere trattando il tema della guerra che si vede nel romanzo Gli angeli cantano incantevolmente (1953). Slobodan Novak scrisse un solo romanzo, Oro, incenso e mirra (1968), un racconto agrodolce dell’infanzia e dell’innocenza persa, ambientato su un’isola dalmata e proiettato contro la realtà crudele della guerra e delle attese tradite.

Jozo Lausic preferì come materia narrativa quella della Seconda Guerra Mondiale e la devastazione che aveva portato all’umanità. Le sue opere migliori, cioè Rottura di ossa (1960) e Assedio (1965), riflettono le divergenze tra le parti belliche e i dilemmi etici che ebbero degli strascichi anche negli anni successivi alla guerra.

1.6 Il ROMANZO DEL DOPOGUERRA NELL’EUROPA OCCIDENTALE.

1.6.1 In Francia
[48] Per il romanzo francese sono stati consultati i seguenti libri: PETER FRANCE, (ed.) “Occupation and Resistance during World War II”, in The New Oxford Companion to Literature in French, Clarendon Press, Oxford 1995; ANTHONY LEVI, Guide to French Literature, St. James Press, Chicago and London, 1992; e P. SCHELLINGER, Encyclopedia of the Novel e ANTHONY CHEAL PUGH, “Defeat, May 1940: Claude Simon, Marc Bloch and the Writing of Disaster”, in I. HIGGINS, The Second World War in Literature, pp. 59-70.

Nel maggio del 1940 le armate francesi vennero sconfitte. I tedeschi occuparono tutto il paese nel novembre del 1942. A Parigi, i fascisti francesi e gli ammiratori intellettuali del nazismo entrarono in competizione per il patronato tedesco e per un ruolo dinamico nella Nuova Europa nazista.

Alle origini della Resistenza francese ci fu la pubblicazione del giornale clandestino come l’atto collettivo più diffuso. Il primo prodotto clandestino delle Edizioni de Minuit fu ispirato dalla rivista “La Pensée Libre” (prima uscita, febbraio 1941). Tale prodotto fu il romanzo di Vercors (Jean Bruller) Le silence de la mer, originariamente inteso per questa rivista, e invece pubblicato in formato volume (con una tiratura di 350 copie). Questo romanzo ebbe più della favola che del documento, uno dei modi con i quali gli scrittori della Resistenza crearono una tensione creativa con la causa per la quale combattevano. Il 1943 vide la pubblicazione del romanzo di Triolet, Les amants d’Avignon, in cui s’incontra Juliette, un’eroina archetipale. Nel 1944 Claude Aveline scrisse il romanzo intimo Le temps mort.

L’epurazione fu uno degli elementi che provocò nel dopoguerra un genere di scrittura ambiguo e ironico che trattava dell’Occupazione. Esempi appartenenti a un tale genere furono: Mon village à l’heure allemande (1945) di Jean-Louis Bory; Les forêts de la nuit (1947) di Jean-Louis Curtis; Uranus (1948) di Ayme, nel quale si riconosce l’alta satira; il burlesco Au bon beurre (1952) di Jean Dutourd; il tetro pessimismo di Les Épées (1948) di Nimier; e Un jeune homme seul (1951) di Vailland che segnò la via dell’autorealizzazione tramite la Resistenza.

Le puits des miracles (1945) di André Chamson - considerato come il compimento della Resistenza - trattò l’Occupazione. Chamson fu un romanziere, saggista e produttore di pellicole. Dal 1941 organizzava la Resistenza intorno a Rodez, e nel 1944 gli fu assegnato il grado di colonnello nell’Armata della Liberazione. Scrisse e pubblicò anche Le dernier village (1946), in cui indagò il collasso della Francia nella Seconda Guerra Mondiale.

Le sang des autres (1945) della scrittrice parigina Simone de Beauvoir fu considerato come un romanzo della Resistenza. Narrò le vicende di Jean Blamart, figlio di un industriale convertitosi al comunismo. Il protagonista diventa soldato con lo scoppio della guerra, ma con i suoi contatti Hélène Bertrand lo porta via dal fronte. Così Blamart fonda un gruppo di Resistenza con cui più tardi si unirà Hélène. Lei verrà ferita mortalmente e alla fine del romanzo muore. Blamart continua a partecipare alla Resistenza e capisce che talvolta la violenza è un mezzo necessario, giustificato dai fini.

Albert Camus si unì alla Resistenza nel tardo 1943 o nei primi mesi del 1944, organizzando una rivista letteraria per il gruppo “Combat” che aveva circa settantacinquemila membri. Quando la rivista chiuse i battenti Camus lavorò al giornale Combat. Il suo romanzo La peste (1947) è un’allegoria che egli applicò anche alla Resistenza, mettendo a fuoco i valori umani, il coraggio e la fratellanza.

Altro scrittore importante fu André Malraux [49] A. PAOLUZI in La letteratura della Resistenza menziona Malraux e Vercors, cit., pp. 19, 78-79., portato via come prigioniero nel 1941, fuggito, e dopo la caduta della Francia unitosi alla Resistenza, catturato, salvato e diventato colonnello nella maquis. Nel 1943 scrisse il romanzo Les noyers de l’Altenburg, narrato da un prigioniero dei tedeschi a Chartres nel 1940. Il romanzo riflettè la sua esperienza e quella del padre durante la Prima Guerra Mondiale.

1.6.2 In Spagna
[50] Per il romanzo spagnolo sono stati consultati i seguenti libri: PHILIP WARD, (ed.) The Oxford Companion to Spanish Literature, Clarendon Press, Oxford 1978; e P. SCHELLINGER, Encyclopedia of the Novel.

Francisco Ayala è un romanziere, saggista, critico, diplomatico, sociologo e scienziato politico che con i suoi Stregato (1944) e Usurpatori (1949) minò in modo sovversivo la gloria passata di una Spagna idealizzata sotto il regime di Franco. Il tema unificatore di questi scritti è l’usurpazione del potere. Per Ayala tutto il controllo esercitato da un solo essere umano era una forma di usurpazione. La testa dell’agnello (1949) era composto da quattro brevi romanzi uniti dallo sfondo comune della guerra civile in Spagna. Invece, Storia di scimmia (1955) presentò sei immagini della tendenza umana di abusare, ridicolizzare, umiliare il prossimo. Morte di un modo di vivere (1958) e Il fondo del bicchiere (1962) misero in mostra la tirannia, la demagogia e l’alienazione esistenziale in una dittatura latino-americana immaginaria.

Ramón J. Sender fu lo scrittore più controverso, prolifico e capace del movimento dei neo-romantici, movimento operante tra le due guerre. Il suo capolavoro s’intitolò Requiem per un contadino spagnolo (1960): preso da un forte senso di colpa, il prete Mosén Millán racconta la vita e la morte dell’ex-chierichetto trasformatosi in organizzatore socialista, fucilato dai falangisti per colpa del prete.

Camilo José Cela fu il primo neo-romanziere di spessore a nascere sotto la Spagna di Franco. La famiglia di Pascual Duarte (1942) raccontò la confessione in carcere di un serial killer condannato che sarebbe potuto essere morto per un omicidio politico che non aveva commesso. Generalmente Cela produsse opere neo-realistiche. Il suo capolavoro fu L’alveare (1951) che descrisse la miseria e la bancarotta morale della Madrid franchista. San Camilo, 1936 (1969) è un interminabile monologo-cronaca di avvenimenti a Madrid collocato temporalmente durante la settimana prima dell’inizio della guerra civile.

La maggioranza degli scrittori del realismo sociale (anni ’50 e ’60) era spinta da motivazioni politiche nel descrivere la povertà, l’inuguaglianza sociale, l’ingiustizia e la stasi economica, tutte denunce indirette del conservatismo del regime franchista. Tali scrittori furono influenzati dal cinema, imitando l’“imparzialità” dell’occhio della macchina da presa e le tecniche di collage e montaggio.

1.6.3 Nei Paesi Bassi
[51] Per il romanzo dei Paesi Basi sono stati consultati: JAAP GOEDEGEBUURE, Between the Individual and Society. Postwar Prose in Holland and Flanders, Stichting Frankfurter, Buchmesse, 1997.

I Paesi Bassi non avevano vissuto l’esperienza della guerra fin dai giorni della Rivoluzione Francese e perciò i cinque anni di occupazione tedesca furono traumatici. La severità dello choc viene riflessa nella letteratura olandese del dopoguerra. Tutti i maggiori scrittori hanno reagito a tale esperienza.

S. Vestdijk in Pastorale 1943 (1948) e Celebrazione del giorno di liberazione (1949) espose il mito della Resistenza. Quest’ultimo libro si concentra sugli aspetti grotteschi e tragicomici della guerra. Da parte sua Willem Frederik Hermans smascherò e demistificò la guerra. Il suo romanzo Le lacrime delle acacie (1949) creò l’impressione che la Resistenza fosse una menzogna. Il breve romanzo La casa di rifugio (1952) mostrò quanto sia arbitraria la distinzione tra eroi e cattivi: per salvare la pelle l’eroe sostiene alternativamente di essere nazista e partigiano comunista. Ne La stanza oscura di Damocle (1958) Hermans portò questa confusione all’estremo: il protagonista, una persona debole e disprezzata prima della guerra, si distinse durante l’occupazione tedesca eseguendo atti eroici per la Resistenza danese, ma alla fine venne bollato come un traditore dopo la liberazione.

Nel suo Il letto nuziale di pietra (1959) Harry Mulisch sostenne che l’aggressore è sempre spregevole, anche quando bombarda le città tedesche agli ordini dell’Alto Comando Alleato. Il romanzo L’assalto (1982) esaminò la questione del bene e del male nel contesto bellico.

Un aspetto molto specifico della narrativa resistenziale riguarda la persecuzione degli ebrei [52] In Italia un tema simile fu trattato da BASSANI GIORGIO in: Le storie ferraresi (1956) e Il giardino dei Finzi Contini, (1962).. Più di centomila olandesi morirono nei campi di sterminio tedeschi, inclusa la quindicenne Anna Frank, scrittrice di un diario tradotto in molte lingue. Anche i diari di Etty Hillesum illustrarono le condizioni di guerra in modo indiretto. Racconti che coprono la stessa materia sono la collezione Erbe amare (1957) e il breve romanzo La caduta (1983) di Marga Minco, il breve romanzo La notte dei girondini (1958) di Jacob Presser, la cronaca Il declino e la caduta della famiglia Boslowit di Gerard Reve e il romanzetto Infanzia (1980) di Jona Oberski.

Nella letteratura fiamminga si possono menzionare due scrittori. Il primo è Louis Paul Boon con il suo La mia piccola guerra (1947), in cui esaminò la lotta di sopravvivenza dei soldati ordinari e dei civili, incluse le inevitabili sviste morali. Da parte sua la scrittrice, Monika van Paemel, col suo I padri maledetti (1985) dipinse un largo panorama del secolo ventesimo e delle due guerre mondiali; spiccano tra l’altro gli avvenimenti orrendi accaduti nel villaggio di Vinkt dove fu sterminata l’intera popolazione dai tedeschi nel maggio del 1940.

1.7 Commento finale

Quello della Seconda Guerra Mondiale e del dopoguerra fu un romanzo in generale fortemente influenzato dal realismo socialista (in paesi come Russia, Polonia, Serbia e anche Spagna) che raggiunse il culmine nel 1952 circa. Oltre alla Resistenza il romanzo di questo periodo trattò anche temi come la Seconda Guerra Mondiale in generale e la devastazione che portò su un livello individuale, la persecuzione degli ebrei, il mondo interiore dei personaggi e la denuncia di regimi come quelli nazista, stalinista e franchista.

(copyright, Patrick Sammut, University of Malta,2005)

Abstract - Thesis "Romanzo della Resistenza"

Last November 2005 I was awarded a Masters degree (with distinction) in Contemporary Italian Literature with a thesis about Il Romanzo della Resistenza, at the University of Malta. I thus thought of publishing parts of my thesis on the present blog. The following is the ABSTRACT of my thesis:

This thesis deals with the Italian Resistance Novel during post-Second World War period (1945-1968). The thesis follows a detailed analysis of five major Italian novels appertaining to this period. These novels are: Uomini e no (1945) by Elio Vittorini, Il sentiero dei nidi di ragno (1947) by Italo Calvino, La casa in collina (1949) by Cesare Pavese, L’Agnese va a morire (1949) by Renata Viganò, and Il partigiano Johnny (1968) by Beppe Fenoglio. This project consists of six chapters. The first chapter gives an overview of the Resistance Literature in Italy and the Resistance Novel in the European Nazi occupied countries. The second chapter explores the concept of time. The third chapter investigates the concept of space and the fourth elaborates such investigation to the themes of the ‘desert’ and the ‘circle’. The fifth chapter deals with sensorial experiences of ‘colour’ and ‘sound’. The sixth and final chapter looks into the dialectical relationship between the human person and the beast. This study also contains an appendix with a set of tables showing the number of occurrences of some of the above themes in the aforementioned novels.

Supervisor: Professor Joseph Eynaud (Department of Italian, University of Malta)

2 elegies

The following are two elegies I wrote in two different occasions and dedicated to two different people. The first elegy is dedicated to a person I only met twice (a lonely but lovely person), but the mother of a dearest friend of mine. Some of the lines found in the first elegy I used later to compose another elegy, this time in Maltese and dedicated to my dear mother. The second elegy is dedicated to the founder of the Maltese Poets Association (1975), a man of culture and faith, a priest, but above all a poet recognised as such in many countries but not in Malta. He wrote verse in three languages: Maltese, English and Itaian, and died in his early eighties.

Dedicated to the mother of a dear friend

Ages ago long moments of joy
followed the pain of birth
without me knowing such happiness
just the first hasty breath
a long cry to greet the world out here
and you, Mother, releived from pain
happy as a lark.

Now in this dark moment
sadness rules all
forgotton are those happy moments
clouded by seasons of sickness and solitude.
You lie there
no more on a soft bed cuddling me in shining arms
but hard as death enclosed in a wooden box...
And me slave of silent sobs
no place for loud dagger cries.

Now I look around and see white shirts black ties
you no more,
only memories and shadows.
Adieu princess cheerfulness and vivacity
and welcome cruel void!
Adieu dear mother womb
and welcome cold mother earth!


Dedicated to Rev. Mons. Amante Buontempo

Your much dreamt rest has come true alas
alas your one way ticket punched
a ticket bought long years ago.

Much pain you carried heavy as a load
and enemies you had you knew them not.
Long nights awake you had to endure
paper and pen your only friends
your solitude’s only witnesses
verse and melody mirrors of secret regrets.

I’ve been there, one of many,
to give you a last salute.
I’ve watched you smiling, at rest
strong in your beliefs
though imprisoned in a wooden box, motionless.
I’ve seen you pleased alas
enveloped by a praying crowd saying goodbye.

Now the past, ungrateful friends, cold indifference
forgotten are
now that from this world you part
your verse remains
a silent voice in the air around
and me to you through poetry forever bound.

2 other poems in Italian

During the first days of March the Italian tv station RAI transmitted the Italian Annual Song Festival of Sanremo directly from the Ariston Theatre of Sanremo in Genoa. Millions of Italians, and thousands of Maltese spectators follow the event on television for a whole week. I wrote the following poem years ago after watching a song concert organised by the équipe of Claudio Baglioni in Rome. It describes the magical atmosphere which reigns during such events: music, song, dance, colourful lights, and sound effects, not to mention the singer as protagonist and the participating crowd.

Mega-concerto

Il rombo d’una folla che attende
Le luci che si spengono, e s’accendono
Bagliori accecanti che scrutano lo stadio
Il silenzio momentaneo dell’attesa.

Entra il cantante con un largo giro
Canta, suona, saluta e sorride
Sale sul palco a forma di stella
Le braccia ch’arrivano a sfiorare il pubblico.

Una folla arcobaleno sul palco, onda di colori
I ballerini, marea che arriva per poi ritirarsi
Onda che scivola sulla spiaggia per poi spegnersi nel nulla.
Che grinta, ch’energia!

Ha inizio il mega-concerto
In estasi l’orecchio e l’occhio
Tra gli spettatori
Un mare di mani ch’ondeggiano
Le teste che s’adagiano su un lato,
I sorrisi mentre canta il vate.

Il palco e lo stadio son vivi, respirano
Una nave spaziale che parte
Per un viaggio indefinito.

Una canzone, una preghiera
Una sola folla, un solo cuore che batte
E l’Utopia in atto!

Mi s’annebbiano gli occhi:
Non so se per il fumo
o per le lacrime di gioia.

I wrote this poem years ago too. It’s not only about love but also an exercise in rhythm and use of words, a kind of playing with words. Love is also a journey made by two people.

Figlia del sole

Ti guardo, ti penso per ore
accecato dal tuo sorriso oro orizzonte
la pelle oscura l’estate
lunare d’inverno.
Scorgo nel tuo sguardo campi di margherite
scorgo, mentre cammini, l’ondeggiare
delle onde mediteranee verde-blu.
Il sole in mille scintille frammentato
scintillio che fuori si getta
dai tuoi giovani occhi sorridenti
sgorganti getti di speranza.
Ti guardo mesmerizzato
oscura, dal sole accarezzata
leggera e fresca come l’albero del limone
in quel vestito d’estate, leggero.
Ti fisso a lungo e mi vanto
d’avere vicino te cascata vivace
per me, leccio vecchio,
m’allontano dal giorno di ieri
giorno di male
estendo il palmo della mano
per berti, baciarti, fissarti
scorgendo me giovane, vitale
nei tuoi occhi specchio d’acqua.
Vorrei morire ancora più vecchio,
fissando i tuoi occhi color terra fertile
te sfiorando la pelle oro orizzonte
te respirando brezza leggera,
disteso contento a te vicino
te giovane etterna
chiudendo gli occhi
felice ricordando il cammino
fatto insieme.

Wednesday, March 08, 2006

About Maltese literature in English and Italian

About Maltese literature in English and Italian

Here in Malta the national language is Maltese, but Maltese and English are both considered as official languages. Many Maltese also understand and speak Italian since islanders are familiar with Italian tv stations and programmes.

Thus Maltese literature is not only composed of works written in Maltese. One can read novels, drama and poetry even in English and Italian, some of them original works, others translated from Maltese.

Since the entrance of Malta in the European Union (May 2004), many are doing their best to export Malta (its culture, art, history, etc.) and Maltese literature especially through English. One thus finds a number of poetry anthologies divided in two: an original part written in Maltese, and another part where one can read the translated English version). The following is a partial list of literature in both English and Italian written by Maltese poets, novelists and playwrites:

Poetry in English:

Wishful Thoughts – Poems and a booklet of sentences (1975) by Amante Buontempo;
Limestone 84 Poems from Malta (1978) edited by Daniel Massa;
A Poetic Galaxy (1983) edited by Poets’ Association Malta;
Zoomery (1998) by Maurice Mifsud Bonnici;
Time-faring- Poems (1994, 2001) by Marlene Saliba;
Ribcage (2003); Cracked Canvas (2005); Memory Rape (2005) by Maria Grech Ganado;
Stay, Fairy Tale, Stay! memoirs of a city cast adrift (2005) by Norbert Bugeja;
water, fire, earth and i (2005) by Simone Inguanez;
The tragedy of the elephant (2005) by Adrian Grima;
Waiting for green - Traffic light thoughts (2005) by Stanley Borg;
others, across (2005) by Clare Azzopardi.


Poetry in both Maltese and English:

It-Trumbettier (1999) by Adrian Grima;
Bejn zewg dinjiet – In between (2003) by John P. Portelli;
km (2005) by Immanuel Mifsud.

Poetry in Maltese, English, Italian and French:

Arkadja (2004) edited by Maltese Poets Association

Poetry in Italian and English:

Si vis pacem cane semper (1973) by Amante Buontempo

Poetry in Maltese, English and Italian:

Quid retribuam? (2001) by Amante Buontempo;
Muzajk (2003) by Josette Baldacchino; Anna Pullicino and Imelda Serracino Inglott

Poetry in Italian:

Lacrime di speranza (1977); Palpiti di gioia (1982) by Amante Buontempo;
Rivachiara – Poesie (1985) co-authored;
I colori del mio silenzio (2001) by Gorg Peresso.

Poetry in Italian and Maltese:

Msiebah Mediterranji – Lucerne Mediterranee (1995) edited by Associazione dei Poeti Maltesi.

Literary Criticism about Maltese literature in English and Italian:

Movimenti Letterari e coscienza romantica maltese (1800-1921)(1979) by Oliver Friggieri;
L’esperienza leopardiana di un poeta maltese: Karmenu Vassallo (1983) by Oliver Friggieri;
The literature of Malta – An example of Unity in Diversity (2000) by Arnold Cassola.

Maltese prose and drama in English:

The following are some of the works of one of the most famous Maltese writers worldwide, Francis Ebejer (1925-1993):

Collected English Plays – Vols. 1, 2, 3 (1980);
Requiem for a Malta fascist (or The Interrogation) (1980);
A wreath of Maltese innocents (1981);
For Rozina.. a Husband & other Malta stories (1990);
The Maltese Baron... and I Lucian (2002).

Shadows of the truth (2003) by Guzè Ellul Mercer (a translation from the Maltese original Leli ta’ Haz-Zghir (1949) by Godwin Ellul);
Birds of Passage (2005) and In Search of Carmen Caruana (2007) by Lou Drofenik (Maltese writer who lives in Australia).

Other books of interest about Malta in English:

Malta’s Heritage- Selections from the writings of (1969) by E.R. Leopardi;
Papers in Maltese Linguistics (1981) by Guzè Aquilina;
A comparative dictionary of Maltese Proverbs (1986) by Guzè Aquilina;
Selmun – A story of love (1996) by Paul P. Borg;
Folklore of an island – Maltese threshold customs (1998) by Tarcisio Zarb;
Exploring the chapels of Gozo (1999) by Paul Grech;
A hundred wayside chapels of Malta & Gozo (2000) by Kilin;
Malta Prehistory and Temples (2002) by David H. Trump;
Confessions of a European Maltese (2003) by Alfred Sant.

2 poems in Italian


The following are another two poems of mine I wrote in the mid-1990s when I was studying in Florence. When I read them again many nice memories, people and different corners come into my mind. I used to attend lectures during mornings and afternoons. However, during the evening I used to walk the streets in the historical centre either alone or with friends. One of my favorite places were the many bookshops which sold new, bargain and second-hand books. Among the bookshops I remember are the Feltrinelli, the Le Monnier, and there was another big one in Piazza Repubblica with a big coffee-shop upstairs. Visitors used to crowd the centre all day long, up till the latest hours, in order to frequent the nice cafes of see the Renaissance city and monuments by night. The historical Florence seemed to have a daily quarrel with the modern Florence full of traffic, panic and noise and air pollution. I also remember some pleasant scents like that of coffee or sweets (typically Tuscan) coming out of the cafes or the confectioneries, or that of leather coming out from the shops selling handbags, shoes, jackets, sachels, or from the market stalls like those of San Lorenzo or Mercato del Porcellino. In the photo one can see the Ponte Vecchio on the Arno river.

Tutto scorre

Dorme ad occhi aperti, fissi
sogna, in giro nel centro di Firenze
col cuore infranto.
E intanto
scorre vicino una folla anonima
scorre un’umanità deforme
scorrono immobili il Davide, la Loggia,
gli Uffizi, il Vecchio Palazzo,
il Ponte Vecchio.
Niente e nessuno lo rallegra.
La guarda negli occhi, le labbra carnose,
le guance due soli al tramonto,
bionda la chioma, e un sorriso
porta al paradiso.
Cammina con lei vicina, le scappa un sorriso,
si scherza e talvolta si sfiorano
gli sguardi s’incrociano.
Ma teme che non ci sia seguito a questo
loro cammino mai iniziato.
I graffiti sui portici lungo l’Arno
i messaggi d’amicizia
i giuramenti d’amore.
si fermano all’argine…
E come se aspettassero che
uno di loro respirasse
le parole magiche.
E come se cercassero fra le scritte
una risposta.
Ma il tempo scorre senza un sì o un no.
Si guarda dentro le acque fangose del fiume
- che scorrono lente, ma scorrono -
senza scorgere il proprio riflesso,
e intanto due cuori battono,
due pensieri
partiti da due punti distinti
s’incrociano…
Ma manca l’inizio
manca la fine.

Volo di rondini

Giocose, gioiose, gaie
un gioco eterno
s’inseguono
nei cortili assolati sui tetti rossi di Firenze.
Si sveglia l’uomo, con la testa pesante il mattino
mentre loro stanno già volando leggere
fischiando, squillando
alternando momenti di silenzio
a momenti di baldoria.

S’infischiano dei clacson, del traffico
s’infischiano del martellio del martello pneumatico.
Si lasciano accarezzare dalle iridi dorate
che le trasmuta in creature bianche
anche se per un istante.

Il mondo umano eternamente sonnolente
reso automa dalla rutina cittadina
è lontano
e le rondini spensierite, ma colme di vigore
segnano l’aere di linee e cerchi invisibili.
A loro piace l’aria ancora fresca
del presto mattina e del tardi sera.

Sono sparite le rondini
l’atmosfera si fa pesante e afosa
e intanto si ritirano in eterei rifugi
mentre l’uomo continua a servire
un destino di travaglio.

Ladro di Merendine (Chps. 16-20)

Superintendent Salvo Montalbano is not one who locks himself in his office, but somebody who is always on the go, interviewing different people from all walks of life. The objective is to get as near as possible to the truth and thus resolve his cases. Montalbano’s intuition tells him that the secret services were involved in the killing of undercover terrorist Ahmed Moussa. He also feels that Karima was another of their victims. In Chapter 18 Montalbano is visited by Colonel Lohengrin Pera of the secret services. It’s a strong scene where eventually the Commissario forces the Colonel to collaborate: Montalbano tells him that their conversation has been recorded on video and that if he does not do what he asks he’ll give the tape to Nicolò Zito of tv station Retelibera, a friend of his. Montalbano’s requests are two: 1. that the body of Karima be found with adequate identification, and 2. that his promotion to vice-Questore would be retracted. Pera has no choice but to obey or else a national (perhaps also an international) scandal would arise.

After the two cases are solved, Montalbano spends five days away from work where he talks to Pintacuda, a retired philosophy teacher. Montalbano has time to reflect on his relation with both Livia and his father who is dying. He writes a letter to Livia where he asks here to prepare the papers to get married (and thus start the process of Francois’s adoption) and speeds towards the hospital where his father dies shortly before his arrival. Montalbano is thankful to his father as deep down he is afraid of facing death.

CAPITOLO 16

Montalbano interroga la vedova Lapecora in commissariato. All’inizio lei tiene molto ebne difronte alle sue domande, però quando Montalbano esce i suoi tranelli ( inventando anche se non ci sono vere prove ), riesce a farla parlare.

Montalbano riesce a tirar fuori la verità da chi interroga anche se questa verità lui la sa digà prima.

La vedova Lapecora ha ucciso il marito non per gelosia, ma per avarizia. Qualche giorno prima aveva prelevato 200 milioni dalla banca.

Montalbano da una breve conferenza stampa. Adesso la prima parte del puzzle è stata risolta. Montalbano da Valente: quest’ultimo fa chiamare in ufficio il commendador Spadaccia che nega quello che aveva detto prima, cioè che il Prefetto di Trapani era coinvolto. Se ne va via imbestialito.

Subito dopo segue il comandante del peschereccio Prestia. Valente e Montalbano se la spassano con lui. Gli dicono che Spadaccia ha negato tutto quello che Prestia gli aveva raccontato. Sia Valente che Montalbano sanno che hanno provocato qualcosa di grosso.

CAPITOLO 17

Montalbano va dal Questore e gli parla della vicenda di Karima. Cerca di non dirgli tutto per tenerlo fuori dalla faccenda di Moussa. Il Questore questo lo fiuta e consiglia al commissario di stare alla larga da quelli dei Servizi che sono capaci di fare tutto pur di uscire puliti.

Ritornato al commissariato Montalbano trova una lettera scritta dal socio di suo padre Prestifilippo Arcangelo, informandolo che suo padre stava per morire e che stava ricoverato in clinica.

Montalbano si sente stanco e chiede ad Augello di occuparsene lui dell’ufficio. Vuole stare un po’ da solo.

Montalbano va vicino al mare e esprime il suo legame con il padre con un grido e delle lacrime liberatorie. Pensa al perché padre e figlio si erano allontanati, anche se uno pensava sempre all’altro in segreto.
Montalbano decide di non andare a trovare suo padre moribondo – lui scappa sempre da situazioni importanto come queste. Ancora una volta Montalbano telefona al Questore per dirgli che non cenerà con lui. Il Questore gli dice che andrà in pensione e che Montalbano avrà la promozione ( anche se lui non la vuole! ), altrimenti sarà trasferito. Montalbano non ha nient’altro da fare tranne andare al cinema tardi la sera e guardare da solo un cartone animato.

Ritornato a a Montalbano riceve una visita inaspettata: c’è il colonnello Lohengrin Pera, un piccolo uomo, con la BMW grigio metalizzata. Montalbano rimane indifferente, entra a casa, apparecchia la tavola e accende di nascosto la telecamera.

CAPITOLO 18

Un lungo faccia a faccia tra Montalbano e il colonnello Lohengrin Pera. All’inizio e per un priodo abbastanza lungo Montalbano rimane indifferente e silenzioso. Così riesce a far parlare Pera e registrare tutto su nastro.

Pera riafferma quasi tutto quello che Montalbano aveva scoperto: Fahrid, il braccio destro di Moussa, un noto terrorista, lo aveva tradito. Karima avevea scelto Lapecora e la sua azienda come copertura. L’uomo biondo che qualche volta accompagnava Fahrid era uno dei Servizi. Gli fa dire anche che Karima è stata “neutralizzata” per “servire lo Stato”. Si capisce subito quello che Pera e quello di Montalbano sono 2 concetti ( servire lo stato ) completamente opposti. ( v.p.217 ). Sapendo che Montalbano conosceva tutto il colonnello Pera cerca di comprare il silenzio del primo.

Montalbano esprime 2 richieste:
1.far trovare il cadavere di Karima ben identificabile;
2. non essere dato la promozione di vice-Questore.

Pera ha quasi un crollo di nervi: dire che la prima richiesta è impossibile siccome il caso con i Servizi tunisini era chiuso. Chiama pazzo Montalbano per la sua seconda richiesta.

Cerca di chiamare rafforzi tramite il cellulare però Montalbano non lo lascia. Intanto doveva arrivare Fazio, grazie a una telefonata che il commissario gli aveva fatto poco prima.

Il crollo di nervi è più forte appena Pera viene a sapere che è stato registrato tutto.

CAPITOLO 19

Montalbano sfascia il cellulare di Pera dalla rabbia. Poi gli dice che se non eseguirà le sue 2 richieste contemporaneamente darà il nastro alla televisione e causerà un incidente internazionale.
Montalbano costringe Pera a ubriacarsi col whiskey, anche se è astemio. Entra in scena Fazio. Montalbano gli racconta come sono andate le cose ( diverse dalla verità ) e gli chiede di portare Pera ubriaco in cella. Poi quando è rinvenuto la mattina lo dovrà liberare.
Rimasto solo a casa Montalbano prende un caffé e fa la barba e la doccia, dopo aver fatto sparire i resti degli occhiali e del cellulare, più documenti, di Pera. Vuole godere la registrazione appena fatta, ma scopre che in realtà non c’è nessuna registrazione siccome aveva sbagliato tasto.
L’indomani telefona a Mimì e gli chiede di sostituirlo per 5 giorni. Decide di andare a Mazara dove affitta una stanza e dorme.
Montalbano fa la conoscenza del ‘cavaliere’ Liborio Pintacuda, ex professore di filosofia. Quest’ultimo gli rivela che tutti qua sapevano che lui fosse un commissario e che ogni tanto scappava per qualche settimana qua per purificarsi da un ‘eccesso di sentimenti’. Si scoprono molte affinità tra Montalbano e Pintacuda.
Nei giorni seguenti Montalbano scopre che la ruota della burocrazia si era miracolosamente mossa: a Valente lo avevavo trasferito a Sestri in Liguria come sempre voleva; a Montalbano avevavo negato la promozione.
Pintacuda e Montalbano vanno a pescare sulla barca del ‘cavaliere’. In un momento di silenzio Montalbano gli rivela che suo padre stava morendo e che non aveva coraggio di andargli a dire addio.
Pintacuda rivela a Montalbano la pura verità: che ama scappare dalla realtà e che e ancora un bambino. Strutturalmente è un capitolo che offre momenti di relax anche al lettore., abituatosi al giallo e all’indagine.

CAPITOLO 20

Montalbano passa 5 giorni a Mazàra. Prima di andare via saluta il ‘cuoco miracolato’. A Vigàta Montalbano ritorna alla solita rutina.: firme, furti, scippi, spari. Ritornato a casa scopre dal telegiornale che avevano trovato il corpo di Karima. Pera aveva mantenuto la parola.
Montalbano telfona al commissario Diliberto per eccertarsi che il corpo era di Karima. Diliberto non sa però perché il cadavere è stato spostato: questo lo sa Montalbano, ma non può rivelarlo.

Finalmente Montalbano cena col Questore e gli racconta tutta la storia. La parte finale riguarda le faccende personali di Montalbano:
1.scrive una lettera a Livia dove le spiega tutto, finendo col dirle che preparasse per il matrimonio e l’adozione di Francois;
2. dopo un messaggio da Arcangelo Prestifilippo, decide di andare a dire addio a suo padre in clinica. Però non riesce a trovarlo vivo. Suo padre muore serenamente 2 ore prima.

Montalbano è contento. Sa che adesso è cresciuto trovando il coraggio di affronatre la morte del padre e anche lo stato di padre di Francois.

Tuesday, March 07, 2006

Ladro di merendine (Chps. 11-15)

Very important in Il ladro di merendine are the female characters. The reader meets Livia, Montalbano’s fiancé already in the first pages. Other female characters are Karima (a prostitute and house cleaner but also sister of Tunisian terrorist Ahmed Moussa, and mother of little François), Aisha (Tunisian “grandmother” of François while Karima is at work), Clementina Vasile Cozzo (a retired ex-primary school teacher), Mrs. Cosentino (wife of guardia giurata Cosentino, very hospitable), the Piccirillo (mother and daughter who are “arrested” by Montalbano) and Antonietta Palmisano (widow of Lapecora).

CAPITOLO 11

Montalbano va dal vice-questore Valente. Insieme vanno a interrogare la signora Pipìa Ernestina vedova Locicero, a Mazàra, che affittava una camera ad Ahmed Moussa, solo perché aveva un sacco di soldi e non perché era “un vero omo d’educazione fina”. (p.129)

Nella camera di Ahmed trovano un biglietto aereo Roma-Palermo. Il passaporto non lo trovano né sul cadavere né nella sua stanza. Montalbano e Valente parlano col professore Rahman, un intermediario tra gli africani e le autorità di Mazàra. Dice che Ben Dhahab era un giornalista incognito mandato da Tunisi. Dopo la sua morte ha telefonato al giornale per informare il direttore della sua morte, e invece il direttore gli ha riferito che Dhahab si trovava nella stanza accanto. Quindi il morto gli aveva dato un nome falso.

Spaventatissimo, Rahman dice ai due che Ahmed Moussa era un terrorista e un assassino di bambini. Non voleva accettare il fatto che aveva aiutato un feroce terrorista. Montalbano e Valente insieme lavorano su quello che è potuto accadere sul peschereccio. Si pongono molte domande: di sicuro la storia è diversa da quella raccontata dalle persone che c’erano sopra il peschereccio.

Capitolo 12

Il capitolo apre con due istanti comici:
1. Livia non bada affatto a Montalbano durante la sua lunga assenza. Intanto si diverte con Francois;
2. Al suo ritorno verso Vigàta sua macchina rimane senza benzina e Montalbano deve chiedere l'aiuto a due carabinieri.
Ritornato a Vigàta parla con il geometra Giuseppe Finocchiaro che dice di conoscere Karima e che andava a pulire da lui il martedì, e dal professor Paolo Guido Mandarino il sabato. Comicità anche qui: quest'ultimo voleva che Karima lo lavasse.

Al commissariato Montalbano parla anche con il ragionier Vittorio Pandolfo: Karima veniva a pulire anche a casa sua. Tariffa fissa. I clienti di Karima appartengono tutti a una classe di professionisti: ragioniere, negoziante, preside di scuola, geometra, perito agronomo, professore. Erano anche di "una certa età vedovi o scapoli". (p. 146)

Montalbano calcola che Karima guadagnava a tempo pieno circa 3 milioni 400 mila ogni mese.

Altra cosa inaspettata: viene a parlare con Montalbano al commissariato Don Alfio Jannuzzo. Gli dice che aveva visto Karima in una BMW metallizzata con un uomo (Fahrid, il pseudo-nipote di Lapecora). Tira fuori anche il numero di targa!

Montalbano telefona al Questore per sapere il nome e l'indirizzo del proprietario.

Capitolo 13

Si inizia con Montalbano e Livia a casa loro. Niente d'importante tranne la gelosia di Montalbano che si sente rivale di Mimì. Livia diventa sempre più affezionata a Francois. Il bambino cerca di scappare per trovare sua madre ma Montalbano lo raggiunge. Segue un momento molto bello: il bambino FranVois e Montalbano si parlano. Anche Montalbano aveva perso sua madre da piccolo.

Vedendo Francois giocare con un puzzle il commissario viene illuminato e scappa subito in commissariato. Chiama nel suo ufficio il bigliettaio della corsa Fiacca-Vigàta, Lopipàro. I sospetti di Montalbano si concentrano ora sulla vedova Lapecora che si mette al centro dell’attenzione per colpa della sua avarizia. Invece, il giovedì dell’uccisione di suo marito doveva passare inosservata.

A casa di Montalbano arriva anche Aisha, legatissima a Francois.

Montalbano chiede a Fazio di prendere una tazzina dalla casa della vedova Lapecora mentre lei sta a casa di sua sorella, e di avere il coltello che ha ucciso Lapecora.

Il vice-questore Valente telefona a Montalbano e gli chiede di venire a Mazara. Ha delle informazioni su quello che è successo sul peschereccio quando hanno ucciso il tunisino.

Capitolo 14

Valente e Montalbano interrogano il comandante e proprietario del motopeschereccio Santopadre, Angelo Prestia. Quando Montalbano capisce che Prestia non parla, esce con la trovata del tranello, inventando una storia, per far parlare Prestia. Prestia gli dà il biglietto di visita del commendador Mario Spadaccia a Trapani, capo di Gabinetto. Valente e Montalbano capiscono che di mezzo c’è qualcosa che puzza.

In poco tempo Montalbano escogita un piano: Aisha deve ritornare a Montelusa, Francois deve sparire e Livia ritornare a Genova. Tutto questo al più presto e se possibile di nascosto da chi sta a Roma.

Montalbano riferisce a Valente le cose come potrebbero essere andate: Moussa è fratello di Karima ed è stato ammazzato dai tunisini che avevano un accordo con i Servizi italiani. Magari tramite l’aiuto di Fahrid pure. L’ufficio di Lapecore era usato come copertura per il movimento di Ahmed. Francois è un testimone importante perché può riconoscere Fahrid e perciò Montalbano lo protegge. Montalbano si mette da fare per tirare allo scoperto i responsabili. Adesso esce chiaro che c’è un collegamento tra l’uccisione del tunisino sul peschereccio e quella di Lapecora. Karima a quest’ora dovrebbe essere stata già uccisa da Fahrid secondo il commissario.

Capitolo 15

Ancora Livia e Montalbano. Livia 33 anni, Montalbano quasi 45. Livia vuole sposarsi e sa che Montalbano scappa sempre. Gli dice che vuole a tutti i costi FranVois. Il racconto alterna tra parti che hanno a che fare con il lavoro di Montalbano (i due casi, quello di Lapecora e quello del tunisino ucciso), e altre che hanno a che fare con la sua vita privata (Livia e relazione con suo padre).

Montalbano agisce anche quando dovrebbe dormire, la notte. Sotto falso nome di un giornalista del Corriere della Sera telefona al Prefetto di Trapani e capisce che lui è pulito, e che invece il commendador Spadaccia non lo è. Telefona a Mimì e scopre che Francois è al sicuro da sua sorella a Calapiano.

Chiama il telecronista Nicolò Zito che viene a casa di Montalbano con una piccola macchina da presa che la pone in un luogo nascosto per registrare. Ritornato in commissariato viene informato da Fazio che Aisha è stata assassinata. Montalbano prende il libretto al portatore dalla casa di Aisha, va dal notaio Cosentino, e gli chiede di vincolare i soldi per poi andare in possesso di Francois appena raggiunge l’età maggiore.

Montalbano ordina a Fazio e Gallo di andare al funerale di Lapecora e poi al cimiterio chiedere alla vedova di seguirli in commissariato.

Monday, March 06, 2006

Window on Maltese Writers


Tieqa Fuq Kittieba Maltin (297 pages + xiv, a De La Salle Brothers Publication) This is my first book ever published. It came out in February 2004, thanks to the interest shown and collaboration of Mr. Charles Zerafa of De La Salle Bookshop, Malta. The book is about 40 different Maltese writers, from poets, to playwrites and novelists. The timespan covers some 100 years of literature: from national poet Dun Karm Psaila (born 1871) to young poet Noel Fabri (born 1960s). It also categorizes the authors according to their birth place.

The various chapters were originally articles which were published earlier on different local newspaper literary pages. Practically it's a work which took me 4 whole years to write. The book is intended for those students who are reading Maltese literature at Ordinary, Intermediate and Advanced level, but also for those who have a general interest in the subject. The chapters are accompanied by photos of the 40 writers, short biographical notes, and pieces from various interviews which either I personally made or which I took from local newspapers. It also has an introduction by the veteran writer (today in his ninties) Guze' Chetcuti, playwrite, novelist, literary critic and poet.

The reader can find interesting information and studies about writers such as Agostino Levanzin, Oliver Friggieri, Mario Azzopardi, Achille Mizzi, Daniel and Alfred Massa, Victor Fenech, Alfred Palma (translator of "The Divine Comedy" of Dante and great part of Shakespear's plays into Maltese), Manwel Cassar (who emigrated to Australia in the 50s), Marjanu Vella and many others. I'm sure that even Maltese emigrees will find such a book illuminating and useful.

About modern poetry

The following is an article I wrote in Maltese in the year 2000. It's about modern poetry and the fear many students express as soon as they come in contact with it. Many times fear originates from "ignorance", that is lack of preparation in skills which help the young reader appreciate modern poetry. Ambiguity gives place to different interpretations and this renders modern poetry more interesting and challenging. Is it an international trait that readers prefer reading prose to poetry? Why?

Ghaliex il-biza’ mill-poezija moderna?

Ghaliex bosta nies jibzghu mill-poezija, l-aktar minn dik moderna? U hawn m'iniex nirreferi ghal min ghandu livell ta’ edukazzjoni bazika jew baxxa, izda ghal min attenda b’success l-iskola anki post-sekondarja. Xi studenti f’dan il-livell jew anki fl-universita` jhossu dehxa kiesha ma’ gisimhom malli jisimghu b’poezija moderna.

Mill-esperjenza personali sibt illi l-istudent post-sekondarju jirrifjuta ghall-ewwel li jaccetta l-poezija moderna ghaliex wisq kumplessa, jew “bla sens”. Pero`, malli jibda jaqraha ghal darba darbtejn, izjed jinduna illi t-tifsira hemm qieghda. U din tixref meta tinduna li bosta poeziji ma tistax tifhimhom wahedhom, ghax huma frammenti li jehtieg li jintrabtu flimkien biex forsi ssib it-tarf tal-kobba. Wiehed ma jistax jinsa illi l-poeziji ma jinkitbux wahedhom, bhala frammenti individwali, izda huma mqieghda f’kuntest iffurmat mill-poeziji li jigu qabel u wara.

Mod iehor li jista’ jghin hafna biex wiehed joqrob lejn il-poezija moderna huwa l-interdixxiplinarita`. Il-poezija moderna tintrabat bis-shih ma’ arti jew dixxiplini ohrajn bhalma huma l-filosofija, il-pittura, l-iskultura, ic-cinema u l-muzika. Biex in-“novizz” joqrob lejn dawn id-dixxiplini jehtieg jivverbalizza dak li qed jara, jisma’ jew ihoss gewwa fih, izda l-verbalizzazzjoni hija biss l-ewwel pass mill-process shih. Fl-ahhar mill-ahhar, il-poezija, dik vera, qieghda hemmhekk biex tinqara u fuq kollox tinstema’, bhalma hija l-muzika; il-pittura qieghda hemmhekk biex taraha u tgawdiha bla ma tohrog bl-ebda suppozizzjonijiet u interpretazzjonijiet zejda li jistghu jhassru s-sabih taghha, jew tal-poezija jew tal-muzika. Fl-ahhar mill-ahhar l-arti qieghda hemm biex tghinek iggarrab esperjenza gewwiena li ma tistax tivverbalizzaha, tirrendiha jew tohrogha permezz tal-kelma. Il-pittura hija poezija fiha nnifisha, filwaqt li l-poezija hija msejsa fuq numru infinit ta’ immagni li l-qarrej jifforma gewwa mohhu waqt li jkun qed jikkonsmaha. Hemm il-poezija fil-pittura, u hemm il-pittura fil-poezija. Fil-muzika mill-banda l-ohra hemm mit-tnejn.

M’ghandniex ghalfejn noqoghdu nfittxu l-kif u l-ghala wara kull poezija jew pittura jew bicca muzika ta’ natura espressjonistika. Dan huwa dak li qed isir f’bosta mill-iskejjel u ghalhekk l-istudent minflok qed joqrob lejn il-poezija u l-arti astratta, qieghed jibza’ u jitbieghed minnhom.
Min-naha l-ohra, is-sabih tal-poezija moderna huwa li tohloq diskussjoni fil-klassi jew fil-grupp waqt li tkun qed tinqara. Hija miftuha ghal izjed minn interpretazzjoni wahda u ghalhekk tixref l-idea li dik moderna hija poezija-opra miftuha. Meta jaqraha, il-qarrej bhal donnu johloqha mill-gdid fl-interpretazzjonijiet differenti li jista’ jaghtiha. Il-process ta’ interpretazzjoni huwa interessanti ghalkemm mhux necessarju. F’dan il-waqt il-klassi jew il-grupp isiru bhal donnhom kor shih, bhall-hamest iswaba’ ta’ l-id, kollha jghinu f’funzjoni wahda.

L-istudent jitg]hallem japprezza verament il-poezija moderna meta jifhem illi l-poeta modern m’huwa xejn hlief bniedem iehor li garrab esperjenzi differenti. Poezija u bniedem huma haga wahda. Bhalma l-bniedem jikber u jitbiddel, jimmatura, hekk ukoll il-poezija timxi id f’id mal-bniedem. F’dan il-kaz bosta jistaqsu jew jghidu li l-poeta modern huwa bosta drabi inkoerenti. Il-poezija m’hi xejn hlief vjagg jew mixja kontinwa li ghandha bidu, nofs u tmiem. Hemm xi karatteristici fil-poeti li jitbiddlu aktar kemm javvanzaw fiz-zmien, u hemm ohrajn illi jibqghu l-istess mill-bidu sa l-ahhar, anki jekk forsi jiehdu forma jew ixiddu libsa differenti. Bhala ezempju tajjeb nista’ nsemmi l-poezija ta’ Mario Azzopardi, imsejjah il-poeta ribell fis-snin sittin meta kien ghadu biss zaghzugh, u li bil-mod il-mod, aktar kemm immatura, rega’ rritorna ghal dak li rribella kontrih. It-temi baqghu dawk tradizzjonali (is-solitudni, ir-relazzjoni mara/ragel, it-tbatija u l-ugigh fost il-bnedmin, it-tifkira ta’ l-imghoddi); huma l-immagni jew il-metafori li tbiddlu, metafori jew xbihat li ghandhom hafna mid-dinja tal-holm u ta’ l-inkonxju.

Sunday, March 05, 2006

About near-future technology

The following is an article I wrote some months ago for a local student's magazine. It's about near-future machines or technology. Today we have tv on less than palm size mobiles, micro-chips which can store hundreds of gigabytes of memory, machines which scan in detail the brain, hightech satellites and telescopes, and microscopes which can reveal the smallest microcreatures that exist. And there's still a lot which man has invented but we still don't know what's it all about! Millions have watched Star Trek, Dr. Who, Galactica and Star Wars. Others have watched or read Jurassic Park (Michael Crichton) and Brave New World (Alduous Huxley), let alone the novels of Jules Verne. Mine is just a simple reflection on what has still to come.

Parole che mi hanno sempre affascinato sono “fantasia”, “fantascienza”, “meraviglia”, “spaziale”, “tecnologia”, “invenzione” e così via. E inoltre, anche se oggi non sono più un bambino o un adoloscente, trascorro parte sostanziale del mio tempo libero a leggere libri che trattano di astronomia, viaggi spaziali e alieni amici e nemici, ma anche a guardare film o serie tv come Star Trek, X-Files, e Guerre Stellari. Inconsciamente mi lascio spesso trasportare dalla fantasia e m’immagino inventore di vari aggeggi ancora inesistenti, anche se con i tempi che corrono non si sa mai!

Tra le mie invenzioni fantastiche c’è una macchina particolare che assume la forma di una piccolissima stanza con due porte opposte. Uno, che si trova peresempio a Malta, entra da una porta, pronuncia l’indirizzo del luogo dove vuole approdare – magari a San Francisco vicino al Ponte Dorato, o a Firenze in Piazza della Signoria, o a Parigi di fronte alla Torre Eiffel – e uscendo dalla porta opposta ci si trova subito nel luogo desiderato, così in quattro e quattro otto.

C’è poi l’aggeggio che si lega alle fotografie. Tutti noi scattiamo delle fotografie, però non tutti ci chiediamo chi possano essere le persone che incidentalmente si trovano nello sfondo delle nostre fotografie. Questa macchina fantastica rivelerà l’identità di tali persone: la loro nazionalità, la famiglia, il lavoro, la città dove vivono, persino i loro passatempi.

Un’altra macchina fantastica prende la forma di uno schermo portatile o più semplicimente uno specchio grande quanto una cartella. Serve soprattutto a quelli che s’interessano di storia, del loro passato e di come erano i luoghi nei quali vivono cinque, dieci, cento, mille anni fa. Praticamente, uno che vive a Valletta può puntare lo schermo sul Porto Grande, con le Tre Città antiche come sfondo, e, guardando dentro, seguire a ritroso gli avvenimenti e i profili urbani della zona. Sicuramente se avrà tempo e pazienza, può seguire in prima persona lo svolgimento del Grande Assedio del 1565, o se va più indietro nel tempo l’arrivo dei Cavalieri dell’Ordine di San Giovanni e l’edificazione dei palazzi o delle chiese più belli di Cottonera. L’utente di questo schermo può vedere persino il Porto Grande durante la Seconda Guerra Mondiale quando era pieno di navi britanniche e sotto l’attacco costante degli aerei tedeschi. Chissà, una tale macchina-schermo potrebbe persino funzionare come sguardo verso il futuro: si potrebbero vedere le nostre città tra venti, cento o cinquecento anni! Sarà ancora un’isola il nostro piccolo paese? Diventerà un’unica città piena di grattacieli dai vetri luccicanti?

Molti di noi viviamo senza mai chiederci chi erano i nostri avi, cosa facevano, dove vivevano, com’erano fisicamente e caratterialmente. Alcuni hanno visto qualche foto ingiallita chiusa in un cassetto di un mobile abbandonato nell’attico della nonna. Però pochi si lasciano prendere dalla curiosità. Ebbene, questo aggeggio fantastico non è più grande di un accendisigarette e funziona come quelle piccole macchine digitali ed elettroniche che usano le persone diabetiche per controllare il livello del glucosio nel sangue. In questo caso però i dati che escono dal test riguarderanno l’albero genealogico della persona in questione: potrà così scoprire esattamente i luoghi da dove sono originati non solo i propri nonni e ma anche i bisbisbisbisnonni. Ne uscirebbero in alcuni casi risultati sbalorditivi! E così si potranno capire esattamente le origini dei nostri tanti e variatissimi cognomi.

Un ultimo aggeggio fantastico sarebbe quello capace di aprire una parentesi o un varco temporale lungo non più di ventiquattro ore nello spazio di un’unica ora! Immaginate i vantaggi soprattutto per quelli che oggi si lamentano costantemente del fatto che il tempo vola via (tempus fugit!), di quelli che si trovano sempre a corto di tempo. Chi incidentalmente sa che non finirà il lavoro in tempo può adoperare questa macchina fantastica per recuperare il tempo perso. Però si deve sempre essere cauti e non esagerare.

Finisco con una nota umoristica: alcuni mesi fa un mio amico, tutto contento e orgoglioso, mi ha fatto vedere il suo nuovo videotelefonino dell’ultima generazione. Io gli ho domandato se il suo – come il mio – avesse la doccia portatile, l’asciugacapelli, l’ombrellino, l’ariacondizionata e la spazzola da denti, tutti integrati nel sistema?!

novembre 2005

Ladro di Merendine (Chps. 6-10)

The superintendent Salvo Montalbano is in his early forties. His fiance's name is Livia, and she's from Genoa. Montalbano is involved in two different cases dealing with two different murders: the first regarding a Tunisian terrorist carrying a false name; the second a retired merchant. Montalbano's methods are unconventional and he frequently follows intuition and instinct. The plot unravels itself through the alternation of both the private (his relationship with Livia and his father) and the public (his work) spheres. Camilleri presents us with a whole variety of spaces and characters, while languagewise he uses both Italian and Sicilian, standard and colloquial Italian.

The following is a summary of chapters 6 to 10.

CAPITOLO 6

Finalmente si trova l’indirizzo di Karima, che non è a casa. Invece c’è la vecchia Aisha, che parla in arabo. Arriva l’interprete Buscaìno. Montalbano sente il profumo Voluptè anche nella stanza di Karima. Interroga la vecchia Aisha. Scopre che il “nipote” di Lapecora che possedeva la BMW visitava Karima anche a Villaseta.

Tramite il francese Montalbano fa amicizia con Aisha, cena da lei, e partecipa attivemente anche quando parla l’arabo e non ne capisce niente.

Si scopre quello che la signora Clementina Vasile Cozzo aveva riferito a Montalbano. Il “nipote” faceva all’amore con Karima nell’ufficio di Lapecora. Era Karima che provocava Lapecora. Lei è stata anche a casa di Lapecora prima di essere assassinato. Perché?

Montalbano decide di aspettare il ritorno di Karima a casa sua a Villaseta. Lui si avvicina sempre di più alla verità. Questo grazie a due donne anziane: Aisha e Clementina Vasile Cozzo.

CAPITOLO 7

Montalbano si sveglia a metà notte e telefona ad Augello per restituirgli il libro di La Carré, Chiamata per il morto. Il Commissario viene illuminato: forse le lettere anonime l’aveva scritte lo stesso Lapecora per chiedere aiuto.

All’ufficio postale di Vigata Montalbano parla con il direttore Baldassare Marzachì per ottenere delle informazioni. Quest’ultimo invece rifiuta di aiutarlo e perciò Montalbano si ricorre a una delle sue trovate per incastrarlo. Ancora una volta Montalbano dice esattamente cosa ne pensa di Marzachì proprio in faccia.

Montalbano va a casa della vedova Lapecora: le chiede esattamente di ripetere le azioni fatte la mattina prima di andare da sua sorella. Montalbano conclude che Lapecora finse di essere addormentato. In realtà aspettava che andasse sua moglie siccome aveva la tunisina nascosta nel suo studio.

La vedova Lapecora dice che vuole vendere negozio e casa, lasciare Vigàta, e andare da sua sorella.

Al caffé Montalbano parla con il ragionier Pandolfo che ogni martedì giocava a carte con Lapecora. Si ottiene poca informazione da lui: solo che recentemente Lapecora era cambiato, diventato più nervoso, forse per una questione di salute.

Ritornato in ufficio di Lapecora scopre che la busta dentro la quale c’era una delle lettere anonime (data a lui dalla vedova Lapecora) era battuta a macchina, la Olivetti che si trovava nel negozio di Lapecora.

CAPITOLO 8

Montalbano va a Montelusa per chiedere l’assistenza del commissario Laganà: voleva che controllasse i libri della ditta di Lapecora.

Montalbano va da Aisha dopo aver ricevuto la sua telefonata in ufficio. Arrivato da lei capisce che delle persone avevano messo sottosopra la sua casa e quella di Karima.

Breve episodio a Villaseta: i bambini picchiati e derubati dal bambino misterioso e le madri che urlano e protestano.

Montalbano accompagna Aisha nel quartiere arabo a Rabàtu, un quartiere povero.

Arriva Livia in aeroporto, per fortuna con due ore di ritardo. Montalbano come al solito la scorda e mente per nascondere la verità. Montalbano e Livia passano dei momenti intimi insieme. Livia riesce persino a illuminare il Commissario che immediatamente chiama il commissariato per fare una riunione e parlare con i suoi assistenti.

Riuniti nell’ufficio di Montalbano, tutti, inclusa Livia, seguono quello che ha da dire Montalbano: un’operazione a Villarosa senza divise e senza macchine di polizia. Obiettivo: catturare un ladro di merendine.
È notte. Montalbano e Livia si appostano nella casa di karima. Montalbano aspetta François, il figlio di Karima.

Montalbano non sbaglia: era proprio François, che viene catturato da Fazio e portato su dal Commissario. François viene portato a casa di Montalbano. Grazie all’idea di Livia.

CAPITOLO 9

Ancora una volta Montalbano pospone il pranzo a casa del Questore. Deve incontrare Laganà. Questi due s’incontrano all’ufficio commerciale di Lapecora. Si arriva a questa conclusione: “La ditta era una copertura, una facciata, un recapito per non so quali traffici, certamente non serviva per importare datteri”. (p. 108)

Segue la visita inutilissima del giudice Lo bianco al commissario Montalbano. Montalbano va al mare con Livia e François. Il Commissario s’ingelosisce sia per le premure di Augello, sia per l’attaccamento di Livia al bambino. Intanto però nega tutto.

Livia gli riferisce le cose che le ha raccontato François. Si scopre che il “nipote” si chiama Fahrid e che potrebbe essere un protettore di prostitute. Montalbano si avvicina sempre di più alla verità. Karima potrebbe essere stata uccisa, mentre Lapecora era solo una vittima perbene.

Montalbano ha sempre più paura di una vita stabile. Non ama la famiglia e ne è terrorizzato.

CAPITOLO 10

S’inizia con una nota socio-politica: si parla di disoccupati e di pentiti (che invece di stare in carcere sono trattati da re).

Per sentirsi piú rilassato Montalbano decide di fare una lunga passeggiata solitaria mangiando noccioline, fave e così via. Ritornato a casa Montalbano guarda la T.V. Parlando del tunisino morto sul peschereccio Francois lo riconosce come suo zio. Si scopre anche che Karima fa di congnome Moussa.

Altro problema sociale: l’immigrazione sociale, e i politici corrotti.

Montalbano chiede l’aiuto di Nicolò Zito che lavora a Retelibera. Gli chiere di mostrare in Tv la foto di Karima e François durante il notiziario.

Altra rivelazione nella parte finale: il tunesino mitragliato, “zio” di François, non si chiama Dhahab ma Ahmed Moussa, cioè padre di François.

Ladro di Merendine (1-5)


IL LADRO DI MERENDINE (Chps. 1-5), written by Andrea Camilleri

What follows is a summary of the first 5 chapters of the novel (a detective story) Il ladro di Merendine written by Sicilian writer Andrea Camilleri (born 1925). Camilleri has written a series of Montalbano novels, the first to be published in the year 1994. Montalbano is a police superintendent posted at Vigata, an imaginary town in Sicily.

Currently Il ladro di merendine is one of the texts which students sitting for Italian Intermediate here in Malta have to prepare for their exam. The Camilleri novels are bestsellers. Camilleri has also a website for those interested: www.vigata.org


CAPITOLO 1

Siamo a Vigàta, ma il commissario Montalbano abita a Marinella. Viene svegliato dall’assistente Catarella alle 5 a.m. che tramite telefono gli dice che è stato ucciso uno di Mazara. Montalbano non vuole sapere niente siccome Mazara non è Vigàta. Il morto è un tunisino, ucciso su un peschereccio italiano.

Segue un battibecco al telefono tra Montalbano e Livia, la fidanzata. Impegnatissimo, Montalbano dimentica sempre gli appuntamenti. Livia sta a Genova.

Altro morto, questa volta a Vigàta: è un commerciante, Aurelio Lapecora, trovato in un ascensore. Il commissario Montalbano trova una miniera d’informazioni nella guardia giurata Giuseppe Cosentino. L’assistente Fazio aiuta Montalbano, mentre Catarella sta in ufficio siccome là “avrebbe sicuramente fatto meno danno che in qualsiasi altro posto”. (p.11) Inoltre quando parla Catarella è molto difficile capirlo, e questo da sui nervi al Commissario.

CAPITOLO 2

Montalbano inizia l’indagine parlando alle famiglie che abitano il palazzo dove è stato ucciso Lapecora.
1. Prima interroga la signora Cosentino, moglie della guardia giurata, molto ospitale;
2. Invece la signora Gaetana Pinna è maleducata. Il marito è un gigante che non può camminare;
3. Bussa e parla con la bella e giovane signora Gulisano, madre di un bambino. Lei vive al piano dove è stato trovato Lapecora;
4. La signora Gullotta non è bella, però tiene anche lei un bambino di circa 4 anni;
5. I Piccirillo sono una vedova e sua figlia celibe, Luigina. Qua Montalbano sente puzza di bruciato e le pone domande dirette. Ironicamente si chiamano “persone perbene”, anche se hanno visto il cadavere di Lapecora nell’ascensore e non hanno fatto niente. Montalbano decide di farle portare in commissariato, per far sapere a tutti gli inquilini che sono state “arrestate”. Montalbano non perdona chi è indifferente: “Accussì si cacano, queste persone perbene”. (p. 31);
6. Il ragionier Culicchia ha paura di sua moglie che fa i conti dopo ogni spesa fatta. Comicità: Culicchia pensa solo alla bottiglia di vino Corvo persa, non al morto;
7. Montalbano parla anche con il maestro elementare Bonavia.

Conclusioni: a. Il morto è una brava persona, ma antipatica;
b. È atato ucciso in ascensore, tra le 7 e 35 e le 8 a.m.
Camilleri ci presenta una varietà di personaggi e caratteri, tutti presi dalla quotidianità siciliana.

CAPITOLO 3

Un momento di pausa per Montalbano: si lascia soddisfare da Calò, mentre legge un giornale. Entra l’aspetto sociale - segue una lista di problemi dell’Italia di oggi:

i. il Sud e la disoccupazione;
ii. il rincaro della benzina e delle sigarette;
iii. i Legisti del Nord e lo sciopero fiscale prima della secessione;
iv. il-razzismo, il suicidio, il gioco d’azzardo, gli spacciatori minorenni.

Segue l’incontro tra Montalbano e il suo vice, Mimì Augello. Si parla di nuovo dell’incidente del peschereccio di Mazara del Vallo: “Il tunisino non è morto sul colpo, Vigàta era il porto più vicino...”. (p.35) Il caso viene finalmente trasferito a Mazara.

Rientra a casa la signora Palmisano Antonietta, vadova Lapecora, che ancora non sa cosa è successo. Viene accolta sulla fermata dell’autobus dai Cosentino (la guardia giurata e sua moglie). Si comporta in modo indifferente dopo aver ricevuto la notizia.

Montalbano la interroga a casa sua. Lapecore teneva una Beretta. La guardia giurata comunica il suo dubbio sulla vedova (“L’ammazzarono?”, p.39) a Montalbano.

Si chiude con un colpo di scena che spiega l’indifferenza della vedova Lapecora: secondo lei suo marito è stato ucciso dalla sua amante Karima.

CAPITOLO 4

Parlando di nuovo con la vedova Lapecore Montalbano scopre altri indizi:
i. il divano-letto comprato da Lapecora per il suo ufficio;
ii. le tre lettere anonime.

Galluzzo e Montalbano vanno nell’ufficio di Lapecora: descrizione dell’interno, due stanze, la seconda come un appartementino.

Si parla con il segretario del notaio Cannatello - altre informazioni:
i. nell’ufficio Lapecora aveva tutto per fare all’amore;
ii. teneva un finto “nipote”. Chi è in realtà?

Altro indizio: il profumo Volupté, non portato da Lapecora.

Montalbano prende in giro Jacomuzzi, quello della scientifica. Da lui vuole dettagli utili e precisi. Il Commissario si arrabbia perché Jacomuzzi parla con i giornalisti.

Comicità:
a. Montalbano telefona a Livia dicendole che gli manca. Appena gli dice che verrà a trovarlo è terrorrizzato. Perché? Forse è troppo impegnato col lavoro? (p.52);
b. Montalbano nella sala da bagno sulla tazza (p.55).

Montalbano interroga i proprietari dei negozi della Salita Granet, la strada dove Lapecora teneva l’ufficio. Scopre che con il “nipote” c’era anche un amico, biondo e grassottello. Nessuno però sa dirgli i numeri della targa della BMW del “nipote”.

Con Galluzzo nell’ufficcio di Lapecora, Montalbano viene illuminato: scopre che le tre lettere anonime sono state fatte là, grazie alle riviste (Il Venerdì della Repubblica) che teneva il morto.

CAPITOLO 5

Montalbano riceve una telefonata da una paralitica, la signora Clementina Vasile Cozzo. Ha delle informazioni importanti. Intanto, Montalbano parla con il tenente Piovesan, comandante della motovedetta Fulmine; parla in dialetto stretto. Ancora il- peschereccio Santopadre – il caso del tunisino ucciso può essere una copertura. C’entra in realtà il contrabbando?

A casa di Clementina Vasile Cozzo, 70 anni, vedova, pensionata ed ex maestra elementare. Ha un forte senso morale ed è coraggiosa: “Ma io, ai miei scolari, insegnavo che il ‘nenti vitti, nenti sacciu’ era il peggior dei peccati mortali”. (p.61) Tiene la sua finestra esattamente di fronte all’ufficio di Lapecora – racconta a Montalbano quello che aveva visto.

Montalnbano non rifiuta mai un invito a tavola.

Al commissariato viene a parlare con Montalbano il figlio di Lapecora, Antonino, che mostra al commissario una lettera che gli aveva mandato il padre. Antonino sapeva che suo padre si trovava nei guai, eppure non lo ha aiutato. Questo fa arrabbiare ancora una volta Montalbano: “Le auguro di non avere mai bisogno di suo figlio...Perché se buon sangue non mente, lei sarebbe fottuto”. (p.65) Il commissario è un tipo schietto e diretto, dice esattamente quello che pensa.

Altre realtà siciliane:
i. le strade interminate;
ii. le città labirinto, costruite a casaccio e senza ordine.
In ambedue i casi c’entrano Mafia e corruzione.

Si finisce con la ricerca di via Garibaldi, a Villaseta, dove vive la tunisina, amante di Lapecora.