1.1 Letteratura della Resistenza o Letteratura sulla Resistenza? Rottura o continuità?
Cercando di tracciare un primo bilancio della letteratura italiana sulla Resistenza, Italo Calvino scrive così nel primo numero dei quaderni del “Movimento di Liberazione Italiano” (1949):
Un primo bilancio può dar luogo a giudizi tutt’affatto differenti, a seconda che si ponga dal punto di vista della Resistenza o da quello della letteratura. Perché a chi si chiede se la letteratura italiana ha dato qualche opera in cui si possa riconoscere ‘tutta la Resistenza’ (e intendo tutta anche parlando d’un solo villaggio, d’un solo gruppo, tutto come ‘spirito’) una opera letteraria possa dire veramente di sé: ‘io rappresento la Resistenza’, l’indubbia risposta è: ‘Purtroppo non ancora’. Mentre invece a chi si chiede se la Resistenza ha ‘dato’ alla letteratura e ai letterati, se la letteratura italiana si è arricchita attraverso l’esperienza della Resistenza, di qualcosa di nuovo e di necessario, io credo si debba rispondere risolutamente: ‘Sì’. [1] GIORGIO LUTI, “Resistenza e letteratura”, Fascismo lotta di liberazione dopoguerra. Lezioni di storia, cultura, economia, Istituto Storico della Resistenza in Toscana, Firenze 1975, p. 198.
Tale affermazione porta perciò a quello che scrive Giorgio Luti [2] Ibid., cioè che, in Italia, più di letteratura della Resistenza si deve parlare di letteratura sulla Resistenza, una distinzione trattata direttamente già prima da Mario Saccenti [3] M. SACCENTI, “Letteratura della Resistenza”, Dizionario critico della letteratura italiana, Vol. 3, UTET, Torino 1973, p. 177.. Giuseppe Petronio scrive di una tale distinzione [4] G. PETRONIO, L’attività letteraria in Italia, Palumbo, Firenze 1982, pp. 918-919.. Egli cita come esempi della letteratura della Resistenza i canti nati nel vivo della lotta partigiana, i giornali della Resistenza [5] HARRY STONE, Writing in the Shadow. Resistance Publications in Occupied Europe, Frank Cass, London 1996. e le lettere dei condannati a morte della Resistenza. Invece, la letteratura sulla Resistenza fu scritta più tardi, spesso da persone che non furono letterati di mestiere ma da uomini che parteciparono in prima persona a quegli eventi e vollero conservarli in forma stampata, scrittori come Dante Livio Bianco, Mario Rigoni Stern e altri trattati più avanti in questo capitolo.
Per Giorgio Luti il periodo della lotta partigiana segnerà, in parte, il clima letterario degli anni seguenti (post-1945). Inoltre la Resistenza viene considerata come un fenomeno nato dal basso e “come espressione di una rinascita popolare a livello civile e morale che dette i suoi frutti positivi anche nello spazio della cultura borghese” [6] G. LUTI, “Resistenza e letteratura”, cit., p. 201.. Ritengo opportuno riportare i commenti di due altri studiosi della letteratura resistenziale. Il primo, Angelo Paoluzi, scrive: “Due sono i caratteri principali sui quali gli scrittori hanno [...] in Italia e altrove, messo l’accento: l’impegno civile del resistente, e il carattere religioso (in senso lato) che la lotta partigiana ha assunto” [7] A. PAOLUZI, La letteratura della Resistenza, Edizioni 3 Lune, 1956, p. 7.. Continua più avanti: “La Resistenza, tra gli altri meriti, ebbe quello di dar vita a una letteratura vivida, parte della quale fu chiamata impropriamente neorealismo. Dalla lotta era uscito un uomo nuovo, intorno a lui si articola una vitale narrativa, non sofisticata da bolse apologie” [8] Ibid., p. 54.. Il secondo, Giovanni Falaschi, scrive:
Gli autori partigiani si rivolgono ad una comunità di ascoltatori culturalmente e socialmente omogenea alla quale ritengono di appartenere essi stessi; la garanzia di tale uguaglianza è data da un’esperienza storica comune fatta da chi racconta e da chi ascolta [...] Il narratore non viene da lontano a raccontare fatti mai visti, con una materia prefabbricata, ma attinge ad una memoria collettiva comune a sè e agli uditori [9] G. FALASCHI La Resistenza armata nella narrativa italiana, Einaudi, Torino, 1976, pp. 59-60..
Per Sergio Pautasso il neorealismo invece di inventare il nuovo mondo che si andava a quel tempo ricostruendo, ossia di interpretarlo letterariamente, portava al nuovo mondo un contributo vivo e autentico: la testimonianza dello scrittore. Allo scrittore nuovo:
[sembrava] non esserci altra via che raccontare storie di vita vissuta, della propria o di quella che aveva visto svolgersi attorno a lui; e ambientarle nel clima da cui si era appena usciti: la guerra, la Resistenza; oppure proiettarle nella realtà quotidiana che alla guerra faceva seguito, una realtà tramata d’ira e di disperazione, ma anche di speranza, di fede, di volontà di sopravvivere [...] i pochi mesi della Resistenza, sembravano rappresentare una miniera ricchissima in cui erano racchiusi tutti i fatti e tutte le esperienze che uno scrittore sentiva di dover raccontare [10] S. PAUTASSO, Il Laboratorio dello scrittore – Temi, idee, techniche della letteratura del novecento, La Nuova Italia, Firenze 1981, pp. 21-22..
Malgrado questo Pautasso considera scrittori come Pavese (la prima parte de Il Compagno) e Vittorini (il corsivo di Uomini e No) tra quelli che sono sì partiti dall’ideologia e dagli avvenimenti, ma che sono riusciti a distaccarsi dallo scrittore prettamente neorealista raggiungendo una certa innovazione o autonoma ricerca letteraria. A questi Pautasso aggiunge anche Il Sentiero dei Nidi di Ragno che rivela molto di più che storie di guerra o di guerriglia o della vita che si svolgevano negli anni dell’immediato dopoguerra. Tra gli aspetti d’innovazione menzionati da Pautasso, riguardo al romanzo che Calvino pubblica nel 1947, c’è l’originalità tematica, nel senso che la guerra partigiana viene vista tramite un gruppo di sbandati e di anti-eroi, e come osservazione “fa assurgere a protagonista un ragazzo [...] e adotta il suo punto di vista per raccontare ciò che avviene al distaccamento del Dritto.” [11] Ibid. p.26.
Secondo Giorgio Luti la Resistenza - storicamente nata l’8 settembre del 1943 con l’Armistizio - propose un aspetto nuovo alla cultura italiana e anche in questo caso Luti cita ancora Calvino: tale novità riguarda “[...] il realizzarsi per la prima volta dopo molto tempo, d’un denominatore comune tra lo scrittore e la sua società, l’inizio di un nuovo rapporto tra i due termini”, poiché “sia che lo scrittore partecipasse direttamente alla lotta, sia che semplicimente subisse l’invasione e i suoi pericoli insieme alla sua gente, era in ogni modo necessitato a trovare l’innesto tra i suoi problematismi e il sentimento collettivo” [12] G. LUTI, “Resistenza e letteratura”, cit., p.200.. Luti scrive che per Calvino,
[si andava stabilendo] la necessità per la nostra letteratura di riprendere il desanctisiano ufficio di specchio della coscienza morale e civile della nazione, scoprendo infine quali vie la Resistenza riaprisse alla nostra cultura letteraria per giungere ad essere finalmente ‘letteratura nazionale’ nella sua accezione moderna di ‘letteratura delle grandi masse nazionali attive’. [13] Ibid.
A questo punto sarebbe bene tenere in mente quello che scrive Mario Saccenti [14] M. SACCENTI, “Letteratura della Resistenza”, cit., pp.184-185.: lui colloca l’anno 1945 - anno che portò la Liberazione dal dominio nazi-fascista – al centro fra due epoche, cioè quella anteriore e quella posteriore al ventennio fascista. Inoltre insiste sul fatto che anche se il 1945 fu un anno di svolta nei campi dell’arte, della cultura e della vita morale italiana, tale svolta non è stata immediata e miracolosa. Saccenti scrive di una “protostoria” che iniziò a profilarsi già tra gli anni 1925-1930, tramite opere come Gli Indifferenti (1929) e La Mascherata (1941) di Alberto Moravia, Paesi Tuoi (1941) di Cesare Pavese e Conversazione in Sicilia (1939) di Elio Vittorini, tutte opere che in vari modi “rompevano il conformismo imposto, o desiderato, dalla dittatura, studiavano nuovi rapporti con l’uomo e con la realtà, alludevano al malcostume e alla corruzione del tempo fascista.” [15] Ibid., p. 185.
Dall’altra parte, Angelo Paoluzi contrappone il periodo della dittatura, noto anche come il periodo della “grande noia” - composto da scrittori che si sono chiusi in se stessi, che hanno parlato per codici e che “non necessitavano di una presa immediata di contatto con la realtà viva intorno all’uomo, ma permettevano di rifugiarsi nella propria torre d’avorio” - alla letteratura fiorita dopo la Liberazione. [16] A. PAOLUZI, La letteratura della Resistenza, cit., p.12.
In questo riguardo Giorgio Luti prende la via di mezzo tra le tue teorie, vale a dire quella della novità/rottura e quella della continuità, affermando che la Resistenza è un fenomeno sì nuovo e di rottura, ma anche di continuità con la letteratura del ventennio fascista. L’idea qui è quella che la letteratura della Resistenza inizia già molto prima dell’8 settembre del 1943, in altre parole esattamente con la salita al potere del fascismo. [17] M. SACCENTI, “Letteratura della Resistenza”, cit., p.177. Esempi illustri sono le Lettere dal carcere di Gramsci come il “trait d’union tra letteratura antifascista e letteratura resistenziale” [18] G. LUTI, “Resistenza e letteratura”, cit., p.203. , e Gobetti, considerato come colui che promuove un “ concreto precorrimento dello spirito resistenziale” [19] Ibid..
Anche Anna Dolfi scrive di un’Italia che ha avuto “una Resistenza che si può far indietreggiare fino alla preparazione e all’avvento, tra il ’19 e il ’22, del fascismo (si pensi, negli anni immediatamente seguenti, alla funzione ‘civile’ degli Ossi di seppia montaliani [...]” [20] ANNA DOLFI, Le parole dell’assenza. Diacronie sul novecento, Bulzoni, Roma, 1996, p. 87.. Più avanti Dolfi sostiene che,
Piuttosto che una letteratura della Resistenza o sulla Resistenza, i nostri poeti e narratori, eredi di una tradizione fin troppo elitaria, mi pare ci abbiano proposto, prima, dopo, sovente anche durante il tragico esplodere degli avvenimenti, una scrittura per la Resistenza, quasi offerta votiva, testimonianza marginale in itenere, o riparazione postuma, segno residuo di un rimorso, di un lutto non fatto, di una ferita apertasi in ritardo e per questo forse più difficile da cicatrizzare. [21] Ibid., p. 88
Insieme a Gramsci e Gobetti (descritto dal Saccenti come “torinese [...] nemico implacabile del fascismo (nel quale vedeva [...] l’addensarsi di tutte le tare e le malattie della società italiana) [22] M. SACCENTI, “Letteratura della Resistenza”, cit., p.178. [...]” ), vengono elencati dallo stesso Saccenti [23] Ibid., p.181.: Giacomo Matteotti (socialista che denunciò i soprusi e i crimini del fascismo), Giovanni Amendola (politico e scrittore napoletano), Carlo Rosselli (diede vita a “Giustizia e Libertà”, il movimento che doveva confluire nel partito d’azione); Francesco Saverio Nitti (vecchio statista liberale), don Luigi Sturzo (fondatore del partito popolare), Gaetano Salvemini (cattedra di storia a Pisa e a Firenze, socialista e animatore del gruppo “Non mollare” coll’avvento del fascismo), Benedetto Croce (a partire dal 1924 fece capo a una grande parte dell’opposizione al fascismo), Giame Pintor (studioso romano, autore di Il sangue d’Europa - 1950 - poeta e traduttore di letteratura tedesca), e Leone Ginzburg (vero capo di “Giustizia e Libertà”, morto torturato in carcere nel 1943). [24] A. PAOLUZI, La letteratura della Resistenza, cit., pp. 24-29, 33, 37. In queste pagine l’autore scrive di personaggi anti-fascisti.
1.2 Le diverse forme della letteratura resistenziale.
La tematica della Resistenza prende forme diverse nel campo letterario. Giorgio Luti [25] G. LUTI, “Resistenza e letteratura”, cit., pp. 206-219. fornisce almeno cinque categorie provvisorie importanti.
1.3 Stampa clandestina, memorialistica, diaristica, racconti e poesia scritti a caldo.
La prima categoria è legata alla produzione di una letteratura spontanea e in gran parte anonima che si trova nella stampa clandestina. [26] DOMENICO TARIZZO, Come scriveva la Resistenza - Filologia della stampa clandestina 1943-1945, 3 Dimensioni, La Nuova Italia, Firenze 1969. Delle riviste antifasciste scrive anche A. PAOLUZI, , cit., pp. 16, 36. Anche G. FALASCHI, dedica un intero capitolo a questo proposito, intitolato “Lingua e letteratura della stampa partigiana”, Einaudi, Torino 1976. Quella che segue è la categoria che raggruppa insieme i diari e le memorie (che Luti chiama anche “cronache partigiane” [27] G. LUTI, “Resistenza e letteratura”, cit., p. 213.) scritti a caldo, cioè durante la guerra civile. Sono opere scritte da persone ben individuabili, molte delle volte protagonisti della lotta armata, chiamati “partigiani-scrittori”.
Scrivendo di memorialistica, Saccenti dà molta importanza anche alle opere scritte da donne come Barbara Allason, con Memorie di un’antifascista (1919-1940) uscito nel 1946, Bianca Ceva, con Tempi dei vivi (1943-1945), uscito nel 1954, Marina Sereni, con I giorni della nostra vita, del 1955, e Ada Gobetti, con Diario partigiano, del 1956 [28] M. SACCENTI, “Letteratura della Resistenza”, cit., pp. 181-182.. Oltre a Bianca Ceva, Paoluzi menziona anche Croce sulla schiena di Ida D’Este [29] A. PAOLUZI, La letteratura della Resistenza, cit., p. 51.. Anche Falaschi dedica un intero capitolo alla memorialistica [30] G. FALASCHI, La Resistenza armata, cit., pp. 25-53., una categoria, secondo lui, che può essere considerata come una forma “teoreticamente primitiva di antiromanzo” [31] Ibid., p.28.. Sotto la categoria diaristica e memorialistica vanno anche incluse le lettere dei condannati a morte [32] M. SACCENTI, “Letteratura della Resistenza”, cit., p.182. GIORGIO LUTI, L’utopia della pace nella Resistenza. Lettere e testimonianza, Edizioni Cultura della Pace, San Domenico di Fiesole, 1987, pp. 46-72 e pp. 115-129 e La letteratura partigiana in Italia 1943-1945, Editori Riuniti, Roma 1984. .
La terza categoria di cui scrive Luti è quella dei racconti e delle poesie clandestini, scritti da letterati partigiani. A livello di racconto (ma, più tardi, anche di romanzo), alcuni degli argomenti trattati sono la morte e la prevaricazione della forza sul diritto, la fucilazione di una spia o di partigiani colpevoli di furto, la violenza partigiana ingiustificata, e l’eroe partigiano [33] G. FALASCHI, La Resistenza armata, pp. 60-62..
1.4 Letteratura sulla resistenza degli anni del dopoguerra.
Le opere che saranno prese in considerazione nella presente tesi appartengono alla quarta categoria, descritta da Luti come “letteratura sulla resistenza prospettata negli anni del dopoguerra come ripensamento e bilancio a posteriori di un’esperienza conclusa” [34] G. LUTI, “Resistenza e letteratura”, cit., p.207. in cui “si realizza più o meno compiutamente la fusione organica tra intento letterario e partecipazione umana” [35] Ibid., p.215. Tali opere (sia narrative sia poetiche) presenteranno lo scrittore come protagonista e perciò adopereranno l’io narrante. Sono anche opere nelle quali la letteratura riassume il suo ruolo primario, mentre la tematica resistenziale verrà retrogradata ad un secondo piano. Tra queste opere Luti elenca Uomini e no di Elio Vittorini, Il mio cuore a Ponte Milvio di Vasco Pratolini, Il sentiero dei nidi di ragno e Ultimo viene il corvo di Italo Calvino, I ventitré giorni della città di Alba e Il partigiano Johnny di Beppe Fenoglio, Fausto e Anna e I vecchi compagni di Carlo Cassola, L’Agnese va a morire di Renata Viganò, La casa in collina e La luna e i falò di Cesare Pavese, Tutti i nostri ieri di Natalia Ginzburg, e La guerra finisce, la guerra continua di Maria Luigia Guaita (quest’ultima inclusa sotto la sezione della memorialistica femminile da Saccenti). Sono questi gli scrittori che, come scrive Paoluzi, “a guerra finita [...] hanno tentato [...] di trasfigurarne la materia incandescente [la Resistenza], di risparmiarla e consegnarla al loro prossimo, il lettore, come testimonianza di un tempo da tutti vissuto” [36] A. PAOLUZI, La letteratura della Resistenza,cit., p.10..
Di questa quarta categoria di Luti, Saccenti scrive così:
[una] narrativa che dal 1945 in poi, ricca di documenti della tirannide e della guerra, sospinta dalle idee, dai sentimenti, dalle scoperte della Resistenza, procedeva ad un approfondimento dell’Italia popolare, ad una diretta visione e cognizione del reale (e che, anche nel suo evidente rapporto con gli splendidi frutti cinematografici [37] Roma città aperta. Dir. Roberto Rossellini. 1945. Sciuscia. Dir. Vittorio De Sica. 1946. Il bandito. Dir. Alberto Lattuada. 1946. Paisà. Dir. R. Rossellini. 1947. Caccia tragica. Dir. Giuseppe De Santis. 1947. Ladri di biciclette. Dir. V. De Sica. 1948. Alan R. PERRY in “The Holy Partisan-martyr as Hero”, in Forum Italicum 1999, Fall 33 (2), pp. 433-457, scrive degli aspetti che accomunano Roma, città aperta (Dir. Roberto Rossellini) e L’Agnese va a morire (Dir. Renata Viganò) – centrale è la figura della donna-martire come eroina di guerra in ambedue le opere. della nuova stagione artistica e morale, giustificava le espressioni di realismo o neorealismo, tuttora legittime in un’accezione aperta e duttile) [...] [38] M. SACCENTI, “Letteratura della Resistenza, cit., p.184. Anche A. PAOLUZI, , a pagine 40-43 e pagine 64-65 scrive di questi scrittori.
È importante anche il fatto che Saccenti aggiunge una nota che non si trova nel saggio di Luti [39] Ibid., cioè il fatto che anche quella del dopoguerra è una letteratura regionale. Basta menzionare come esempi L’Agnese va a morire di Viganò, legato ai paesaggi fra la bassa ferrarese e le valli di Comacchio, I ventitré giorni della città di Alba di Fenoglio, legato alle Langhe, Il sentiero dei nidi di ragno di Calvino, legato al carruggio genovese, Paura all’alba (1945) di Arrigo Benedetti, legato all’Appennino Reggiano, e Lapide in via Mazzini e Una notte del ’43 (usciti nel 1956, in Cinque storie ferraresi) di Giorgio Bassani, legati a Ferrara. Lo stesso aveva fatto Paoluzzi [40] Ibid., (1956), pp. 29-30., menzionando Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi, legato alla Lucania, Cronache di poveri amanti di Vasco Pratolini, legato al quartiere fiorentino, e l’Abruzzo di Ignazio Silone (basta ricordare Fontamara).
A questa quarta categoria appartiene anche la produzione poetica, trattata in modo particolare da Elio Filippo Acrocca e Valerio Volpini nel volume Antologia poetica della Resistenza italiana [41] Edizione San Giovanni, Landi, 1955. Per la poesia dedicata alla Resistenza vedere anche A. PAOLUZI, cit., pp. 55-59..
La quinta categoria riguarda “la letteratura dedicata all’esame critico del ventennio, alle tragiche testimonianze di guerra, alle deportazioni e ai campi di concentramento, cioè alla letteratura antifascista (quindi non solo resistenziale), nata come conseguente ripensamento degli eventi conclusi” [42] G. LUTI, “Resistenza e letteratura”, cit., p.207.. È anche una letteratura molto cosciente della sua dimensione aristocratica. Altre opere appartenenti a questa categoria sono La ragazza di Bube di Carlo Cassola, Il clandestino di Mario Tobino, Storie ferraresi di Giorgio Bassani, e anche Se questo è un uomo di Primo Levi, Si fa presto a dire fame di Piero Caleffi, e Il campo degli ufficiali di Giampiero Carocci.
1.5 IL ROMANZO DEL DOPOGUERRA NELL’ EUROPA ORIENTALE.
1.5.1 In Russia
[43] Per il romanzo russo ho consultato i seguenti libri: NEIL CORNWELL, (ed.) Reference Guide to Russian Literature, Fitzroy Dearborn Publishers, London-Chicago, 1998; PAUL SCHELLINGER, (ed.) Encyclopedia of the Novel, Volumes 1 e 2, Fitzroy Dearborn Publishers, London-Chicago, 1998. Si veda pure ARNOLD MCMILLIN, “The Second World War in Official and Unofficial Russian Prose”, in HIGGINS, Ian, (ed.) The Second World War in Literature, Scottish Academic Press, Edinburgh 1986. pp. 19-31.
Durante i primi anni del dopoguerra il romanzo russo continuò a essere legato ai precetti del realismo socialista degli anni ’30. Gli scrittori russi poterono godere una relativa libertà durante la Seconda Guerra Mondiale, ma già dal 1946 la letteratura dovette sopportare di nuovo pressioni ideologiche. Perciò durante gli ultimi anni del potere staliniano, pochi romanzi di valore vennero prodotti anche se lo Stato continuò a sostenere gli scrittori conformisti. Tali opere comprendevano tante epiche che riguardavano la Rivoluzione e la guerra civile, inclusa la guerra recente.
Aleksandr Fadeev pubblicò nel 1946 La giovane guardia, una storia drammatica di una organizzazione clandestina operante in un villaggio ucraino sotto l’occupazione nazista. L’autore rivelò la maturità politica degli uomini e delle donne giovani, che riuscirono a organizzare una resistenza efficace senza la guida diretta dei funzionari del Partito locali.
I romanzi della guerra fecero un grande passo avanti dopo la morte di Stalin. Viktor Nekrasov pubblicò nel 1946 Nelle trincee di Stalingrado, un’opera che dette nome a un nuovo concetto della scrittura di guerra in Russia, cioè “la verità delle trincee”. Un altro romanzo sulla battaglia di Stalingrado è Vita e destino (1965) di Vasilii Grossman, pubblicato solo nel 1985 all’estero, nel quale l’autore mirò a distruggere il mito dell’unità sovietica durante la guerra e arrivò alla sgradevole conclusione che da un punto di vista ebreo non c’era differenza tra fascismo e comunismo.
Dopo la morte di Stalin il contenuto della letteratura si allargò rapidamente e il romanzo divenne ancora una volta un forum di dibattito e di discussione di nuove idee. Vladimir Dudintsev pubblicò nel 1957 Non solo col pane, il racconto della repressione di un giovane e abile ingegnere da parte dell’istituzione scientifica corrotta, che alla fine del romanzo rimane immutata. L’anno 1953 vide la pubblicazione di La foresta russa di Leonid Leonov, altro romanzo con temi scientifici e industriali. Il 1957 vide l’uscita a Milano del romanzo Il dottor Zhivago di Boris Pasternak, che fece vincere all’autore il Premio Nobel per la Letteratura. È un romanzo storico che però minimizza gli avvenimenti storici, dando più importanza al destino e alla condizione umana.
1.5.2 In Romania
[44] P. SCHELLINGER, Encyclopedia of the Novel.
Tra il 1948 e il 1960 la Romania, occupata dai sovietici, subì un processo di stalinizzazione che scombussolò la cultura e la società civile. Nel 1949, Sadoveanu, il decano della narrativa rumena, pubblicò Mitrea Cocor, che tratta di un opportunista che cambia l’occupazione sovietica a suo vantaggio. Zaharia Stancu nel 1962 pubblicò Una scommessa con la morte, dove esplora la città di Bucarest sotto l’occupazione tedesca, mentre in La tribù zingara (1968) tratta del destino di una comunità di zingari spostata dopo la guerra.
Nel 1962 Petru Dumitriu pubblicò il romanzo Incognito, nel quale denuncia il sistema spersonalizzante della dittatura comunista. Tale pubblicazione uscì per compensare i compromessi politici che Dumitriu fece in Romania col romanzo Uccello di tempesta (1952), nel quale cercò di giustificare l’esistenza di un gulag comunista rumeno.
Nel 1955 Titus Popovici pubblicò Lo straniero che presentò l’ambito provinciale così come vissuto da un eroe giovane durante gli anni traumatici della Seconda Guerra Mondiale. In L’autostrada settentrionale (1959) Eugen Barbu contrappose gli eroi comunisti ai malvagi fascisti.
1.5.3 In Polonia
[45] Ibid.
L’attacco tedesco sulla Polonia del 1 settembre del 1939 segnò l’inizio della Seconda Guerra Mondiale e la fine di un’epoca nella storia letteraria di quel paese. Gli scrittori polacchi che scelsero di rimanere in patria non potevano pubblicare le loro opere durante i seguenti cinque anni di occupazione tedesca. Invece gli scrittori che vissero sotto l’occupazione sovietica, poche settimane dopo il massacro tedesco, vennero deportati nei campi di concentramento e nei carceri sovietici, o prima ‘persuasi’ con la forza ad accettare le regole del ‘realismo socialista’, cioè a seguire il diktat politico e ideologico del partito comunista. La letteratura polacca potè continuare a vivere grazie ad un piccolo gruppo di scrittori che scelse di scappare all’estero, soprattutto in Francia, Gran Bretagna e gli Stati Uniti.
Il 1941 vide l’uscita di La via di Narvik di Ksawery Pruszyúski, soldato e giornalista. È un resoconto semi-fittizio dell’esperienza bellica delle truppe polacche che parteciparono ad una spedizione degli Alleati per difendere la Norvegia contro l’invasione tedesca nel 1940. Lo stesso Pruszyúski coniò l’etichetta “Letteratura della Polonia combattiva”, una letteratura che diventò la voce libera di una nazione in cattività per i successivi cinquant’anni, sfidando sia il controllo tedesco, sia l’indottrinazione sovietica che lo seguì.
Nel 1945 la Polonia venne incorporata nel blocco sovietico. Tra il 1945 e il 1948 le autorità presero il controllo del mercato editoriale, un mercato strettamente monitorato dal partito comunista. Gli scrittori polacchi si concentrarono su due problemi legati al passato prossimo: da una parte la politica del periodo tra le due guerre, dall’altra, l’esperienza della guerra nazionale. Nel primo caso vennero scritti pochi romanzi che criticarono lo Stato per non essere stato sufficientemente pronto a difendere il paese contro le invasioni tedesca e sovietica. Nel secondo caso i romanzi della guerra lodarono le truppe, puntando un dito accusatorio verso i ranghi militari più alti, che furuno ritenuti responsabili per la campagna persa.
I romanzi polacchi ricordarono anche la tragedia della Rivolta di Varsavia (1944) che risultò nella quasi totale distruzione della capitale. Uno dei romanzi che ricordò questa rivolta è In una casa in rovine dello scrittore cattolico Jan Dobraczynski, apparso nel 1946.
L’anno 1948 vide un altro romanzo scritto da uno scrittore cattolico, Jerzy Andrzejewski, intitolato Ceneri e diamanti. Quest’opera cercò di essere una rappresentazione oggettiva del conflitto armato tra i soldati giovani e patrioti dell’Armata Polacca Clandestina e dell’entrata in Polonia del regime comunista con le truppe sovietiche. Ceneri e diamanti fu tradotto in più di venti lingue e trasposto in una pellicola di successo da Andrej Wajda.
Nel 1949 l’Unione degli Scrittori Polacchi adottò il modello del realismo socialista e per i seguenti sei anni cercò di presentare ‘eroi positivi’, le presunte conquiste del sistema economico comunista e i conflitti sociali nella ‘lotta di classe’. Tali romanzi adoperarono lo schema bianco-nero, cioè i buoni (i comunisti) da una parte, e i cattivi (i capitalisti e i loro simpatizzanti) dall’altra, uno schema che non era mai piaciuto agli scrittori polacchi degli anni precedenti. Questi erano romanzi di qualità inferiore, tra i quali vanno annoverate le opere di Wojciech Zukrowski che nel 1952, il punto più alto del periodo del realismo socialista, pubblicò il romanzo I giorni del disastro. Questo romanzo seguì i passi di un giovane protagonista polacco fino al giorno del 17 settembre 1939, quando accolse i soldati sovietici invasori come ‘i liberatori’ del suo paese.
Igor Newerly (pseudonimo di Igor Abramov) nel 1952 scrisse il romanzo industriale Notte di rievocazione che si concentrò sullo sviluppo sociale di un giovane operaio nel sistema socialista appena stabilito.
Gli scrittori polacchi dovevano iscriversi all’Unione degli Scrittori Polacchi e seguire il suo diktat politico e tecnico-narrativo. Molti di loro seguirono alla parola tale intimazione per paura di essere perseguitati o per semplice necessità di sopravvivenza e questo ebbe conseguenze artistiche devastanti.
Ci fu anche un gruppo di scrittori ebrei che sopravvissero all’Olocausto e che vollero dare una testimonianza artistica sulla tragedia nazionale. Tra questi Adolf Rudnicki che scrisse il racconto Le finestre d’oro (1953), raccolto in Il mare morto e vivo e altri racconti. Egli narrò in modo commovente la Rivolta nel Ghetto di Varsavia del 1943. Le sue furono opere libere dalla propaganda comunista, un caso eccezionale durante gli anni 1949-1955, quando la pressione stalinista sulla letteratura polacca fu forte.
Nel 1954 venne registrato un passo avanti quando il realismo socialista venne sfidato nell’Unione Sovietica. Gli scrittori polacchi seguirono subito l’esempio, e ciò segnò la fine di una presentazione artificiale e politicamente motivata della vita contemporanea.
1.5.4 In Serbia
[46] Ibid.
Il romanzo serbo dopo la Seconda Guerra Mondiale ricevette un forte impeto dalla pubblicazione di tre romanzi di Ivo Andric nel 1945: Il ponte sul fiume Drina, Cronaca bosniaca e La donna di Sarajevo. Soprattutto grazie ai primi due romanzi Andric vinse il premio Nobel per la Letteratura nel 1961. Il ponte sul fiume Drina assunse proporzioni epiche e narrò la storia degli slavi meridionali dagli inizi del secolo sedicesimo fino alla Prima Guerra Mondiale. Presentò generazioni di serbi, croati e bosniaci, appartenenti alle fedi ortodossa, ebrea, cattolica e musulmana, presi nel bel mezzo della tempesta turbolenta della storia balcanica. Metaforicamente, il ponte servì come punto di contatto tra nazionalità diverse, legando l’Oriente all’Occidente.
L’anno 1950 segnò l’inizio della pubblicazione regolare di un numero di romanzi serbi di grande caratura, dopo un breve flirt con il realismo socialista. Il primo romanzo di questo tipo è Cerimonia nuziale (1950) di Michailo Lalic. Il successo letterario di Lalic venne nel 1959 con il romanzo La montagna che geme che narrò le prove e le sofferenze di un giovane capo partigiano in Montenegro durante la Seconda Guerra Mondiale. Tagliato fuori dai suoi compagni e circondato dai nemici, il protagonista venne costretto ad improvvisare per sopravvivere. Lalic adoperò questo sfondo esistenzialista per entrare nella mente e nell’anima del protagonista. S’interessò sia della guerra, sia del come il suo eroe reagiva alle situazioni quotidiane. L’opera presentò un misto di descrizioni realistiche, spesso naturalistiche, e d’indagine psicologica, ottenuta tramite sogni, allucinazioni e reminiscenze.
Anche Dobrica Cosic iniziò con un romanzo di successo che trattò della guerra partigiana, Lontani nel sole (1951). La tetralogia Questa terra, questo tempo (1972-1979) percorse la lotta dei serbi contro i loro rivali nella Prima Guerra. L’interesse principale di Cosic fu quello di trovare risposte a domande di tipo esistenziale.
Oscar Davico scrisse il romanzo Poesia (1952), un resoconto artistico della lotta clandestina dei giovani comunisti contro i tedeschi durante l’occupazione di Belgrado. Branko Copic scrisse anche numerosi romanzi sulla guerra partigiana e sulle sue conseguenze. Miodrag Bulatovic pubblicò tre romanzi provocatori per protestare contro la guerra e comportamenti inumani: Il gallo rosso vola verso il paradiso (1959), Un eroe su un asino (1964), e La guerra era meglio (1968). Nei suoi romanzi Danilo Kis si concentrò sulla tragedia dei propri parenti che morirono numerosi durante l’occupazione nazista. Giardino, ceneri (1965) fu un memoriale pungente di suo padre. Più tardi trattò il tema della crudeltà dell’uomo come esemplificata nelle atrocità naziste della Seconda Guerra e in quelle staliniste.
1.5.5 In Croazia
[47] Ibid.
Gli scrittori croati del dopoguerra si concentrarono sul mondo interiore dei loro personaggi. Tra questi, Petar Segedin nei romanzi Figli di Dio (1946) e Persone sole (1947). I romanzi di Vladan Desnica, La vacanza invernale (1950) e I tempi primaverili di Ivan Galeb (1957), mostrarono la preoccupazione esistenziale sempre più forte dello scrittore.
Invece Vjekoslav Kaleb adoperò il tema della guerra partigiana in Polvere gloriosa (1954) e Pietra bianca (1955), offrendo una descrizione realistica della guerra, ma anche cercando l’essere umano nel guerriero e la relazione tra il mondo interiore e esteriore del soldato. Anche Vojin Jelic iniziò a scrivere trattando il tema della guerra che si vede nel romanzo Gli angeli cantano incantevolmente (1953). Slobodan Novak scrisse un solo romanzo, Oro, incenso e mirra (1968), un racconto agrodolce dell’infanzia e dell’innocenza persa, ambientato su un’isola dalmata e proiettato contro la realtà crudele della guerra e delle attese tradite.
Jozo Lausic preferì come materia narrativa quella della Seconda Guerra Mondiale e la devastazione che aveva portato all’umanità. Le sue opere migliori, cioè Rottura di ossa (1960) e Assedio (1965), riflettono le divergenze tra le parti belliche e i dilemmi etici che ebbero degli strascichi anche negli anni successivi alla guerra.
1.6 Il ROMANZO DEL DOPOGUERRA NELL’EUROPA OCCIDENTALE.
1.6.1 In Francia
[48] Per il romanzo francese sono stati consultati i seguenti libri: PETER FRANCE, (ed.) “Occupation and Resistance during World War II”, in The New Oxford Companion to Literature in French, Clarendon Press, Oxford 1995; ANTHONY LEVI, Guide to French Literature, St. James Press, Chicago and London, 1992; e P. SCHELLINGER, Encyclopedia of the Novel e ANTHONY CHEAL PUGH, “Defeat, May 1940: Claude Simon, Marc Bloch and the Writing of Disaster”, in I. HIGGINS, The Second World War in Literature, pp. 59-70.
Nel maggio del 1940 le armate francesi vennero sconfitte. I tedeschi occuparono tutto il paese nel novembre del 1942. A Parigi, i fascisti francesi e gli ammiratori intellettuali del nazismo entrarono in competizione per il patronato tedesco e per un ruolo dinamico nella Nuova Europa nazista.
Alle origini della Resistenza francese ci fu la pubblicazione del giornale clandestino come l’atto collettivo più diffuso. Il primo prodotto clandestino delle Edizioni de Minuit fu ispirato dalla rivista “La Pensée Libre” (prima uscita, febbraio 1941). Tale prodotto fu il romanzo di Vercors (Jean Bruller) Le silence de la mer, originariamente inteso per questa rivista, e invece pubblicato in formato volume (con una tiratura di 350 copie). Questo romanzo ebbe più della favola che del documento, uno dei modi con i quali gli scrittori della Resistenza crearono una tensione creativa con la causa per la quale combattevano. Il 1943 vide la pubblicazione del romanzo di Triolet, Les amants d’Avignon, in cui s’incontra Juliette, un’eroina archetipale. Nel 1944 Claude Aveline scrisse il romanzo intimo Le temps mort.
L’epurazione fu uno degli elementi che provocò nel dopoguerra un genere di scrittura ambiguo e ironico che trattava dell’Occupazione. Esempi appartenenti a un tale genere furono: Mon village à l’heure allemande (1945) di Jean-Louis Bory; Les forêts de la nuit (1947) di Jean-Louis Curtis; Uranus (1948) di Ayme, nel quale si riconosce l’alta satira; il burlesco Au bon beurre (1952) di Jean Dutourd; il tetro pessimismo di Les Épées (1948) di Nimier; e Un jeune homme seul (1951) di Vailland che segnò la via dell’autorealizzazione tramite la Resistenza.
Le puits des miracles (1945) di André Chamson - considerato come il compimento della Resistenza - trattò l’Occupazione. Chamson fu un romanziere, saggista e produttore di pellicole. Dal 1941 organizzava la Resistenza intorno a Rodez, e nel 1944 gli fu assegnato il grado di colonnello nell’Armata della Liberazione. Scrisse e pubblicò anche Le dernier village (1946), in cui indagò il collasso della Francia nella Seconda Guerra Mondiale.
Le sang des autres (1945) della scrittrice parigina Simone de Beauvoir fu considerato come un romanzo della Resistenza. Narrò le vicende di Jean Blamart, figlio di un industriale convertitosi al comunismo. Il protagonista diventa soldato con lo scoppio della guerra, ma con i suoi contatti Hélène Bertrand lo porta via dal fronte. Così Blamart fonda un gruppo di Resistenza con cui più tardi si unirà Hélène. Lei verrà ferita mortalmente e alla fine del romanzo muore. Blamart continua a partecipare alla Resistenza e capisce che talvolta la violenza è un mezzo necessario, giustificato dai fini.
Albert Camus si unì alla Resistenza nel tardo 1943 o nei primi mesi del 1944, organizzando una rivista letteraria per il gruppo “Combat” che aveva circa settantacinquemila membri. Quando la rivista chiuse i battenti Camus lavorò al giornale Combat. Il suo romanzo La peste (1947) è un’allegoria che egli applicò anche alla Resistenza, mettendo a fuoco i valori umani, il coraggio e la fratellanza.
Altro scrittore importante fu André Malraux [49] A. PAOLUZI in La letteratura della Resistenza menziona Malraux e Vercors, cit., pp. 19, 78-79., portato via come prigioniero nel 1941, fuggito, e dopo la caduta della Francia unitosi alla Resistenza, catturato, salvato e diventato colonnello nella maquis. Nel 1943 scrisse il romanzo Les noyers de l’Altenburg, narrato da un prigioniero dei tedeschi a Chartres nel 1940. Il romanzo riflettè la sua esperienza e quella del padre durante la Prima Guerra Mondiale.
1.6.2 In Spagna
[50] Per il romanzo spagnolo sono stati consultati i seguenti libri: PHILIP WARD, (ed.) The Oxford Companion to Spanish Literature, Clarendon Press, Oxford 1978; e P. SCHELLINGER, Encyclopedia of the Novel.
Francisco Ayala è un romanziere, saggista, critico, diplomatico, sociologo e scienziato politico che con i suoi Stregato (1944) e Usurpatori (1949) minò in modo sovversivo la gloria passata di una Spagna idealizzata sotto il regime di Franco. Il tema unificatore di questi scritti è l’usurpazione del potere. Per Ayala tutto il controllo esercitato da un solo essere umano era una forma di usurpazione. La testa dell’agnello (1949) era composto da quattro brevi romanzi uniti dallo sfondo comune della guerra civile in Spagna. Invece, Storia di scimmia (1955) presentò sei immagini della tendenza umana di abusare, ridicolizzare, umiliare il prossimo. Morte di un modo di vivere (1958) e Il fondo del bicchiere (1962) misero in mostra la tirannia, la demagogia e l’alienazione esistenziale in una dittatura latino-americana immaginaria.
Ramón J. Sender fu lo scrittore più controverso, prolifico e capace del movimento dei neo-romantici, movimento operante tra le due guerre. Il suo capolavoro s’intitolò Requiem per un contadino spagnolo (1960): preso da un forte senso di colpa, il prete Mosén Millán racconta la vita e la morte dell’ex-chierichetto trasformatosi in organizzatore socialista, fucilato dai falangisti per colpa del prete.
Camilo José Cela fu il primo neo-romanziere di spessore a nascere sotto la Spagna di Franco. La famiglia di Pascual Duarte (1942) raccontò la confessione in carcere di un serial killer condannato che sarebbe potuto essere morto per un omicidio politico che non aveva commesso. Generalmente Cela produsse opere neo-realistiche. Il suo capolavoro fu L’alveare (1951) che descrisse la miseria e la bancarotta morale della Madrid franchista. San Camilo, 1936 (1969) è un interminabile monologo-cronaca di avvenimenti a Madrid collocato temporalmente durante la settimana prima dell’inizio della guerra civile.
La maggioranza degli scrittori del realismo sociale (anni ’50 e ’60) era spinta da motivazioni politiche nel descrivere la povertà, l’inuguaglianza sociale, l’ingiustizia e la stasi economica, tutte denunce indirette del conservatismo del regime franchista. Tali scrittori furono influenzati dal cinema, imitando l’“imparzialità” dell’occhio della macchina da presa e le tecniche di collage e montaggio.
1.6.3 Nei Paesi Bassi
[51] Per il romanzo dei Paesi Basi sono stati consultati: JAAP GOEDEGEBUURE, Between the Individual and Society. Postwar Prose in Holland and Flanders, Stichting Frankfurter, Buchmesse, 1997.
I Paesi Bassi non avevano vissuto l’esperienza della guerra fin dai giorni della Rivoluzione Francese e perciò i cinque anni di occupazione tedesca furono traumatici. La severità dello choc viene riflessa nella letteratura olandese del dopoguerra. Tutti i maggiori scrittori hanno reagito a tale esperienza.
S. Vestdijk in Pastorale 1943 (1948) e Celebrazione del giorno di liberazione (1949) espose il mito della Resistenza. Quest’ultimo libro si concentra sugli aspetti grotteschi e tragicomici della guerra. Da parte sua Willem Frederik Hermans smascherò e demistificò la guerra. Il suo romanzo Le lacrime delle acacie (1949) creò l’impressione che la Resistenza fosse una menzogna. Il breve romanzo La casa di rifugio (1952) mostrò quanto sia arbitraria la distinzione tra eroi e cattivi: per salvare la pelle l’eroe sostiene alternativamente di essere nazista e partigiano comunista. Ne La stanza oscura di Damocle (1958) Hermans portò questa confusione all’estremo: il protagonista, una persona debole e disprezzata prima della guerra, si distinse durante l’occupazione tedesca eseguendo atti eroici per la Resistenza danese, ma alla fine venne bollato come un traditore dopo la liberazione.
Nel suo Il letto nuziale di pietra (1959) Harry Mulisch sostenne che l’aggressore è sempre spregevole, anche quando bombarda le città tedesche agli ordini dell’Alto Comando Alleato. Il romanzo L’assalto (1982) esaminò la questione del bene e del male nel contesto bellico.
Un aspetto molto specifico della narrativa resistenziale riguarda la persecuzione degli ebrei [52] In Italia un tema simile fu trattato da BASSANI GIORGIO in: Le storie ferraresi (1956) e Il giardino dei Finzi Contini, (1962).. Più di centomila olandesi morirono nei campi di sterminio tedeschi, inclusa la quindicenne Anna Frank, scrittrice di un diario tradotto in molte lingue. Anche i diari di Etty Hillesum illustrarono le condizioni di guerra in modo indiretto. Racconti che coprono la stessa materia sono la collezione Erbe amare (1957) e il breve romanzo La caduta (1983) di Marga Minco, il breve romanzo La notte dei girondini (1958) di Jacob Presser, la cronaca Il declino e la caduta della famiglia Boslowit di Gerard Reve e il romanzetto Infanzia (1980) di Jona Oberski.
Nella letteratura fiamminga si possono menzionare due scrittori. Il primo è Louis Paul Boon con il suo La mia piccola guerra (1947), in cui esaminò la lotta di sopravvivenza dei soldati ordinari e dei civili, incluse le inevitabili sviste morali. Da parte sua la scrittrice, Monika van Paemel, col suo I padri maledetti (1985) dipinse un largo panorama del secolo ventesimo e delle due guerre mondiali; spiccano tra l’altro gli avvenimenti orrendi accaduti nel villaggio di Vinkt dove fu sterminata l’intera popolazione dai tedeschi nel maggio del 1940.
1.7 Commento finale
Quello della Seconda Guerra Mondiale e del dopoguerra fu un romanzo in generale fortemente influenzato dal realismo socialista (in paesi come Russia, Polonia, Serbia e anche Spagna) che raggiunse il culmine nel 1952 circa. Oltre alla Resistenza il romanzo di questo periodo trattò anche temi come la Seconda Guerra Mondiale in generale e la devastazione che portò su un livello individuale, la persecuzione degli ebrei, il mondo interiore dei personaggi e la denuncia di regimi come quelli nazista, stalinista e franchista.
(copyright, Patrick Sammut, University of Malta,2005)
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