Collaborazione o conflitto fra le culture? La soluzione dell’esperanto
Di notevole interesse ìl convegno tenuto venerdí 16 aprile a San Vittore del Lazio, con il patrocinio dell’Assessorato Comunale alla Cultura e il Supporto dell’Associazione esperantista “Tri Steloj”. Dopo il saluto e la presentazione del vicesindaco Vittorio Casoni, sono intervenuti lo scrittore Amerigo Iannacone, Presidente del Gruppo Esperantista “Tri Steloj” e Renato Corsetti, Presidente della Fei, Federazione Esperantista Italiana, il quale tra l’altro ha tracciato tra l’altro un breve quadro storico del movimento esperantista e ha poi illustrato l’attuale diffusione nei cinque continenti
A seguire, Michela Lipari ha presentato il volume bilingue “Atti del 76° Congresso Italiano di Esperanto / Aktoj de la 76a Itala Kongreso de Esperanto”, congresso che, come si ricorderà, si è tenuto a Cassino dal 28 agosto al 3 settembre 2009. Ha raccontato anche vari episodi, tra i quali quello di un congressista tedesco Martin Stuppnig, che durante la guerra ha combattuto a Cassino (ma non ha mai ammazzato nessuno). Vi è tornato per la prima volta, dopo 65 anni, in occasione del congresso e, con l’aiuto di locali è riuscito a rintracciare la grotta sulla montagna alle spalle di Sant’Elia dentro cui era stato nascosto. Stuppnig ha allacciato rapporti con l’Amministrazione comunale di Cassino e il tonerà a Cassono come ospite.
Di seguito, riportiamo, uno stralcio della relazione di Amerigo Iannacone.
L’Unesco ha dichiarato il 2010 “Anno internazionale per il riavvicinamento delle culture”. Questo stesso fatto, già di per sé, lascia intendere che le culture sono in qualche modo lontane e che c’è (e si va accentuando) quello che chiamano “scontro di civiltà”. Uno “scontro” che, a mio avviso, potrebbe, e dovrebbe, divenire “incontro” di civiltà.
Per natura, noi siamo portati a diffidare di ciò o di chi ci è sconosciuto o che, comunque, non ci è familiare. Da qui nasce una serie di problemi e anche di fenomeni aberranti come il razzismo con quel ne consegue.
Ora veniamo all’interrogativo tema di questo incontro: «Collaborazione o conflitto fra le culture?» È scontato che la nostra risposta è “collaborazione” e anche, direi, interscambio. Ed è qui viene ad innestarsi quella che è «La soluzione dell’esperanto».
L’esperanto è una lingua, l’“esperantismo” è il movimento che ha nei suoi fini la diffusione e la divulgazione dell’esperanto. Non è un movimento politico, non propone rivoluzioni sociologiche, non è di destra, non è di sinistra, non è di centro. Riprendendo le parole del suo iniziatore, il russo Ludwik Lejzer Zamenhof, «esperantista è chiunque conosce e usa l’esperanto, indipendentemente dallo scopo per cui lo usa». Quindi, esasperando il concetto, potremmo dire che anche un razzista può essere un esperantista. Anche un nazista, anche un dittatore, anche un mafioso, un camorrista, un delinquente comune.
Ma nell’esperanto c’è quella che gli esperantisti chiamano “interna ideo”, idea insita, un’idea, cioè, non esplicitata ma in qualche modo imprescindibile dal movimento. È l’idea di fraternità, di affratellamento di tutti i popoli della terra.
Ricordate il motto della rivoluzione francese, di oltre due secoli fa? Diceva: “Liberté, égalité, fraternité”. Ma poi da allora fino ad oggi, molti si sono battuti e si battono – meritoriamente – per la liberté e l’égalité, libertà e uguaglianza, ma della fraternité, la fratellanza, chi se ne ricorda piú? È stata in qualche modo rimossa. Ma è proprio di fraternité che oggi ci sarebbe bisogno per superare la reciproca diffidenza.
Viviamo in una società edonista ed egoista, dove al primo posto viene c’è la parola “io”, al secondo “io”, al terzo “io”. Poi alcuni posti vuoti, intorno al decimo posto talvolta “la mia famiglia”, poi ancora posti vuoti, intorno al 20° posto “i miei amici”, intorno al 100° i miei connazionali. Poi basta, gli altri non contano, non esistono.
E purtroppo negli ultimi anni abbiamo visto sollecitare gli istinti piú bassi proprio da parte di chi, essendo in posti di potere, dovrebbe scoraggiarli. Ed ecco che non è campato in aria la decisione dell’Unesco di indire per il 2010, “L’Anno internazionale per il riavvicinamento delle culture”. Ed ecco il ruolo dell’esperanto: prima di tutto capirsi.
Di notevole interesse ìl convegno tenuto venerdí 16 aprile a San Vittore del Lazio, con il patrocinio dell’Assessorato Comunale alla Cultura e il Supporto dell’Associazione esperantista “Tri Steloj”. Dopo il saluto e la presentazione del vicesindaco Vittorio Casoni, sono intervenuti lo scrittore Amerigo Iannacone, Presidente del Gruppo Esperantista “Tri Steloj” e Renato Corsetti, Presidente della Fei, Federazione Esperantista Italiana, il quale tra l’altro ha tracciato tra l’altro un breve quadro storico del movimento esperantista e ha poi illustrato l’attuale diffusione nei cinque continenti
A seguire, Michela Lipari ha presentato il volume bilingue “Atti del 76° Congresso Italiano di Esperanto / Aktoj de la 76a Itala Kongreso de Esperanto”, congresso che, come si ricorderà, si è tenuto a Cassino dal 28 agosto al 3 settembre 2009. Ha raccontato anche vari episodi, tra i quali quello di un congressista tedesco Martin Stuppnig, che durante la guerra ha combattuto a Cassino (ma non ha mai ammazzato nessuno). Vi è tornato per la prima volta, dopo 65 anni, in occasione del congresso e, con l’aiuto di locali è riuscito a rintracciare la grotta sulla montagna alle spalle di Sant’Elia dentro cui era stato nascosto. Stuppnig ha allacciato rapporti con l’Amministrazione comunale di Cassino e il tonerà a Cassono come ospite.
Di seguito, riportiamo, uno stralcio della relazione di Amerigo Iannacone.
L’Unesco ha dichiarato il 2010 “Anno internazionale per il riavvicinamento delle culture”. Questo stesso fatto, già di per sé, lascia intendere che le culture sono in qualche modo lontane e che c’è (e si va accentuando) quello che chiamano “scontro di civiltà”. Uno “scontro” che, a mio avviso, potrebbe, e dovrebbe, divenire “incontro” di civiltà.
Per natura, noi siamo portati a diffidare di ciò o di chi ci è sconosciuto o che, comunque, non ci è familiare. Da qui nasce una serie di problemi e anche di fenomeni aberranti come il razzismo con quel ne consegue.
Ora veniamo all’interrogativo tema di questo incontro: «Collaborazione o conflitto fra le culture?» È scontato che la nostra risposta è “collaborazione” e anche, direi, interscambio. Ed è qui viene ad innestarsi quella che è «La soluzione dell’esperanto».
L’esperanto è una lingua, l’“esperantismo” è il movimento che ha nei suoi fini la diffusione e la divulgazione dell’esperanto. Non è un movimento politico, non propone rivoluzioni sociologiche, non è di destra, non è di sinistra, non è di centro. Riprendendo le parole del suo iniziatore, il russo Ludwik Lejzer Zamenhof, «esperantista è chiunque conosce e usa l’esperanto, indipendentemente dallo scopo per cui lo usa». Quindi, esasperando il concetto, potremmo dire che anche un razzista può essere un esperantista. Anche un nazista, anche un dittatore, anche un mafioso, un camorrista, un delinquente comune.
Ma nell’esperanto c’è quella che gli esperantisti chiamano “interna ideo”, idea insita, un’idea, cioè, non esplicitata ma in qualche modo imprescindibile dal movimento. È l’idea di fraternità, di affratellamento di tutti i popoli della terra.
Ricordate il motto della rivoluzione francese, di oltre due secoli fa? Diceva: “Liberté, égalité, fraternité”. Ma poi da allora fino ad oggi, molti si sono battuti e si battono – meritoriamente – per la liberté e l’égalité, libertà e uguaglianza, ma della fraternité, la fratellanza, chi se ne ricorda piú? È stata in qualche modo rimossa. Ma è proprio di fraternité che oggi ci sarebbe bisogno per superare la reciproca diffidenza.
Viviamo in una società edonista ed egoista, dove al primo posto viene c’è la parola “io”, al secondo “io”, al terzo “io”. Poi alcuni posti vuoti, intorno al decimo posto talvolta “la mia famiglia”, poi ancora posti vuoti, intorno al 20° posto “i miei amici”, intorno al 100° i miei connazionali. Poi basta, gli altri non contano, non esistono.
E purtroppo negli ultimi anni abbiamo visto sollecitare gli istinti piú bassi proprio da parte di chi, essendo in posti di potere, dovrebbe scoraggiarli. Ed ecco che non è campato in aria la decisione dell’Unesco di indire per il 2010, “L’Anno internazionale per il riavvicinamento delle culture”. Ed ecco il ruolo dell’esperanto: prima di tutto capirsi.
(Nelle foto: Sopra - Amerigo Iannacone; nel mezzo - Martin Stupping; Ultima foto - Renato Corsetti)