«Ho sempre subito il fascino dei libri»
Davanti a me ho cinque pubblicazioni dello scrittore Amerigo Iannacone, di Isernia: Il Foglio Volante (mensile di cultura), Stagioni (haiku), 2005, Oboe d’amore/Ama hobojo (poesie), 2007, Dall’otto settembre al sedici luglio, 2007, e Dall’Arno al Tamigi (Annotazioni linguistiche), 2008.
Gli rivolgo alcune domande.
Davanti a me ho cinque pubblicazioni dello scrittore Amerigo Iannacone, di Isernia: Il Foglio Volante (mensile di cultura), Stagioni (haiku), 2005, Oboe d’amore/Ama hobojo (poesie), 2007, Dall’otto settembre al sedici luglio, 2007, e Dall’Arno al Tamigi (Annotazioni linguistiche), 2008.
Gli rivolgo alcune domande.
D.: Da dove è nato questo interesse di Iannacone per il mondo della scrittura?
R.: È difficile anche per me saperlo. Non voglio dire che si tratti di un predisposizione innata, ma penso piuttosto che l’interesse per la scrittura sia nato come conseguenza dell’interesse per la lettura, che ho sempre avuto. Fin da quando ero bambino subivo il fascino dei libri, che mi davano l’opportunità di viaggiare con la fantasia. Anche se in casa c’erano pochi libri e io, bambino delle scuole elementari e poi medie, prendevo in prestito i libri al Centro di Lettura che era stato istituito in quegli anni – tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta – nel mio paese e che disponeva di una piccola biblioteca, modesta ma piú che sufficiente per le mie esigenze.
D.: Qual era l’idea originaria dietro la pubblicazione de Il Foglio Volante? Qual è la sua tiratura oggi e chi sono quelli che lo ricevono? Chi sono i contributori?
R.: Il Foglio volante è nato – e anche il nome lo dice – come un semplice foglio, appunto, dove pubblicare scritti miei ed eventualmente da allegare alle lettere che scambiavo con i miei corrispondenti. Poi il progetto si ampliato da sé e in qualche modo si è creata una rete di lettori, di amici della parola, che si sono abbonati e che collaborano. La tiratura è piuttosto modesta – mediamente sulle 500 copie – ma i lettori sono generalmente di livello elevato. Il giornale non ha finanziatori particolari: si regge solo con il contributo degli abbonati, oltre che con i sacrifici miei personali.
D.: Qual è la tua relazione con la poesia e con la prosa? Hai preferenze per qualche genere letterario in particolare?
R.: Come preferenze, al primo posto metterei la poesia. Ho cominciato a scrivere i miei primi ingenui versi mentre frequentavo ancora la scuola elementare, perché la poesia mi ha sempre attratto ed ho sempre continuato a scrivere, sia pure e senza mai aspirare a pubblicare, anzi – da ragazzo – senza pensarci neppure. Infatti il mio primo libro è uscito quando avevo già trent’anni. Ma sono interessato anche ad altri generi e in particolare alla narrativa. Nelle letture, devo dire, sono onnivoro e anche i miei libri, al di là del loro valore, che non sta a me stabilire, spaziano in vari campi di interesse. Nella mia bibliografia, ricca di circa 25 titoli, si trovano infatti altre a poesia e narrativa, anche libri di saggistica, traduzione e altro.
D.: La tua ultima pubblicazione Dall’Arno al Tamigi indica anche un tuo interesse nel campo della lingua. Puoi elaborare nel riguardo? C’è qualcosa che unisce tutte le lingue?
R.: Nel frattempo – per inciso – è diventata la penultima, perché proprio in questi giorni è uscita una mia raccolta di 42 racconti dal titolo Cronache reali e surreali.
Per quel che riguarda le lingue, sebbene io poi in fondo non possa vantarmi di conoscerne molte, ne sono stato sempre attratto piú per motivi, direi, di studio che non per uso pratico. Ho studiato il francese, il latino alle medie e al liceo (ai miei tempi il latino si studiava a partire dalla prima media) e il greco classico, ma oltre all’italiano posso dire di conoscere correntemente solo l’esperanto e un po’ di francese. Qualcosa di altre lingue, piú a livello di curiosità fonetico-morfologiche che di uso pratico.
Che unisca tutte le circa diecimila lingue parlate oggi nel mondo credo non ci sia altro che la loro intrinseca capacità di comunicazione. Ma a me, oltre alle qualità puramente linguistiche e glottologiche, interessa la salvaguardia delle lingue in genere e dell’italiano in particolare – perché vivo in Italia – dalla corruzione, dalla sopraffazione delle lingue piú potenti (o, se si preferisce, dei potenti), sopratutto l’inglese, che si sta insinuando come un virus nelle lingue nazionali, le sta inquinando e corrompendo e si accinge a fagocitarle.
D.: Perché la scelta dell’Esperanto?
R.: Mi sono avvicinato all’esperanto solo per curiosità e ho finito per convincermi pienamente sia delle sue qualità propriamente linguistiche (facilità, chiarezza, modernità, flessibilità, creatività, ecc.) sia della sua potenzialità come soluzione del problema della comunicazione sopranazionale. L’esperanto infatti è una lingua eufonica e logica ed è una lingua di tutti in generale e di nessuno in particolare e perciò non è invadente (o fagocitante, come l’inglese), mette tutti sullo stesso piano e non fa graduatorie politiche, economiche, etniche, ecc. Chiunque lo può imparare (anche persone poco colte o poco dotate) con estrema facilità, senza dispendio né economico né di energie.
Qualche anno fa ho anche pubblicato un opuscolo intitolato “Esperanto, il perché di una scelta”, che risponde dettagliatamente proprio alla domanda che tu mi poni.
D.: Iannacone e i suoi contatti internazionali. Qual è il bello di tutto questo? Qual è il prezzo che uno deve pagare?
R.: Prezzi da pagare, se non stiamo a guardare al costo dei francobolli o altre piccole cose di questo genere, non ce ne sono. Ma il bello è l’apertura mentale che si matura, e la scoperta di poter trovare oltre frontiera amici fraterni, con cui si condividono idee e sensibilità.
D.: Cosa pensa Iannacone di Internet? Una minaccia o un miracolo?
R.: Forse dobbiamo parlare di un miracolo che può costituire anche una minaccia, ma il difetto sta nell’uomo. Internet è in sé una grande opportunità, che nessuno solo trent’anni fa avrebbe potuto immaginare. Come ogni cosa, dall’invenzione della ruota all’energia atomica, può essere usata in modo sbagliato e può comportare dei problemi, ma il problema non sta nel mezzo, bensí in chi lo usa. Un coltello può servire per tagliare il pane o per ammazzare una persona, ma non è né buono né cattivo: è un mezzo. Le automobili causano – solo in Italia – 10 mila morti all’anno, ma non per questo dobbiamo criminalizzare la macchina in sé, dobbiamo piuttosto cercare di agire sull’uomo e magari sulle norme che regolano il traffico. Anche per Internet c’è bisogno di regole che ancora non ci sono, ma si tratta comunque di una grande opportunità.
D.: Com’è Iannacone come persona e cosa ne pensa del suo paese/regione natale?
R.: Fisicamente probabilmente non è un gran che, per il resto è sempre difficile tracciare un ritratto di sé stessi. Cerco di essere accomodante ma non remissivo, ho molti interessi, mi piace leggere, mi piace la musica e tutte le arti in genere, mi piacerebbe viaggiare, ma le condizioni economiche mi costringono ad essere piuttosto sedentario e i libri e la parola diventano un modo per viaggiare. Ho molti amici, vicini e lontani, che mi vogliono bene. Per il resto lascio la sentenza ad altri.
Abito in un minuscolo paese che non ha particolari pretese, ma in fondo mi ci trovo bene. Ci convivo con qualche accomodamento, qualche incomprensione, qualche litigio e qualche ammiccamento, un po’ come può succedere con una donna. Credo che accada un po’ a tutti di instaurare un rapporto di amore-odio col paese e il territorio in cui si vive da tanti anni, proprio perché si conosce bene: se ne conoscono pregi e difetti.
Credo che a leggere i miei libri e in particolare A zonzo nel tempo che fu, si evinca tutto questo e anche di piú.
Patrick Sammut (luglio 2008)
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