I wrote this poem thinking of my mother who died of cancer exactly three years ago. Here I imagine myself a cancer patient. Indirectly I express my love towards my mother who dedicated big part of her life for her family, me included. A mother dies but is never forgotten.
ULTIME RIGHE NEL DIARIO DI UN MORIBONDO
Sono arrivato al capolinea
Ho appena sputato sangue
O era un pezzo di carne insanguinato?
Sono diventate secche le mie vene una dopo l’altra
Con tutta quella chimica che ne passa
Son trascorsi lunghi mesi, anzi anni
Da quando ho intuito l’inizio della discesa
Era un giorno come gli altri
Con una sola novita`:
la notizia m’era arrivata fredda, indifferente
m’avevano assicurato che non era niente di grave
solo un piccolo intervento
e poi svaniva tutto il male
ma di dentro non mi convincevo...
Mesi dopo il male era ricresciuto
Quella volta m’avevano suggerito
La radioterapia
E poi la chemioterapia
Lunghe ore d’attesa solitaria
Lunghe ore di tacita sofferenza
Io e la macchina
Io e l’odore di medicina
E dentro i pensieri che esplodevano
A migliaia
La paura della fine
La puntura di un ago minuscolo
La sostanza ambigua
che si mescolava col mio sangue
I momenti di panico
le grida dentro la fredda stanza
Sdraiato su un letto a fissare il neon, rimbecillito
Le visite settimanali dallo specialista
Con il suo sorriso ambiguo
Le sue parole ambigue.
Al reparto incontravo tanta brava gente
Con il male dentro pure loro
Ognuno con il proprio peso della croce
Alcuni la portavano da dieci anni,
altri di piu`, altri di meno
e io mi sentivo forte tra certi poveri Cristi
malgrado il dolore, le crisi interminabili...
Stasera ho appena sputato sangue
O forse era un pezzo di carne insanguinato?
Una voce nascosta m’ha detto che
Ero al capolinea
Quelle ultime due fiale di speranza
M’hanno tolto ogni speranza
Bruciato dall’interno
Cazzo che inferno!...
M’hanno portato di corsa all’ospedale
Un infermo
Seduto su una sedia a rotelle
Il dolore era talmente grande
Che supplicavo la morfina
La morfina, amica morfina...
Adesso supino disteso sul letto
Guardo il mondo attraverso un velo di nebbia fitta
Riesco a seguire le parole degli altri talvolta
E talvolta gli rispondo persino
La gola e` secca, un deserto, mi fa male
pero` m’hanno sconsigliato di bere
ho la bocca una ferita aperta
mi siedo sul letto e a intervalli
m’aiutano a fare qualche passo
con la macchina della morfina che fa tic tic
anch’essa a intervalli
e mi segue come un’ombra
mi da` fastidio la corrente
e chiedo di chiudere la finestra che da` sul porto
e chiedo di rimettermi disteso sul letto
mi sento stanco, sfinito
e chiudo gli occhi
mi s’annebbiano i sensi
ma sento ancora le voci lontane
e qualcuno mi tiene la mano calda...
Sono arrivato al capolinea
È ora di fare le valigie
Metaforicamente
Balbetto una mezza preghiera in segreto
Il fiato si fa piu` raro
Sono tranquillo, molto tranquillo
M’avviluppa il peso del sonno
E uno dopo l’altro s’interrompono i sensi
Si spengono gli interruttori
Mi sento leggero, molto leggero
E so che sul mio volto che non è piu` il mio
S’e` formato un bel sorriso, tranquillo...
1 comment:
Caro Patrick, in questa poesia descrivi un'esperienza, quella del cancro e di tutta la trafila di ospedali e terapie connesse,che io ho purtroppo sperimentato di persona nella vicenda della malattia di mio padre. Perciò posso dire che la tua sensibilità ha colto nel segno, mostrando le emozioni forti e terribili che questa esperienza comporta. Anche il finale consolatorio è azzeccato: pensa che quando mio padre è uscito dalla sala operatoria, dopo il trapianto di fegato, mentre era ancora addormentato per l'anestesia, aveva una smorfia sul viso. Sorrideva.
Post a Comment