La
recente pubblicazione dell’intera raccolta di poesie in maltese e in italiano
di Anastasio Cuschieri da parte di Charlò Camilleri e Toni Cortis[1] ha
colmato una lacuna nella cultura letteraria maltese, dato che egli non solo non
s’era mai adoperato a raccoglierle ma anche aveva l’abitudine di firmare le
poesie, anche quelle in italiano, con iniziali e nom de plume diversi, e a
volte senza neanche questi[2]; il che
spiega la scarsa attenzione rivolta nel passato alla sua opera da parte degli
studiosi, paurosi di percorrere terreno minato; ciononostante non sono mancati studi validi che erano
ostacolati purtroppo dallo spinoso problema delle attribuzioni[3]. Ora, grazie
all’acribia dei due curatori della succitata pubblicazione risulta spianato
questo problema per cui si può apprezzare meglio, e valutare in modo più
obiettivo, la sua opera poetica.
Cuschieri, frate carmelitano, filosofo e poeta,
era ritenuto a Malta nei primi decenni del Novecento il decano dei poeti, dei filosofi
e oratori locali. Pubblicava spesso le sue opere nella rivista «Il Monte Carmelo» a Roma, nella «Rivista di
filosofia neoscolastica» a Milano[4], in «Malta
letteraria»[5],
rivista prestigiosa pubblicata nell’isola, nonché studi agiografici in altre
riviste[6]. Nato
nel 1876 alla Valletta, Cuschieri sentì sin da piccolo la vocazione religiosa:
infatti all’età di quindici anni, nel 1891, entrò nell’Ordine Carmelitano. Dopo
la laurea, proseguì gli studi filosofici a Roma all’Università Pontificia
Tommaso d’Aquino e quelli teologici in quella Gregoriana. Dopo il dottorato,
gli fu conferita la cattedra di filosofia all’Università di Malta. A lui
venivano commissionati panegirici[7],
orazioni universitarie[8] e discorsi
importanti in occasioni speciali[9], tutti tenuti
in italiano, essendo allora l’italiano la lingua culturale. Egli era non solo
un bravo oratore e pio religioso (è noto come il poeta della Madonna, dato che
sono tante le poesie dedicate alla Vergine), ma anche una persona stimata
all’interno del suo Ordine (fu eletto due volte provinciale della regione
maltese della comunità carmelitana), oltre ad essere impegnata sul fronte
civile: fu eletto due volte senatore negli anni venti; visse il trauma dell’anglicizzazione
dell’isola da parte delle autorità britanniche, battendo fino all’ultimo per la
conservazione della tradizionale cultura latina: rimane infatti un mistero come
lui, grande italofilo, non sia stato internato ed esiliato allo scoppio della
seconda Guerra mondiale[10]. Di un
certo interesse per l’italianistica risulta lo sparuto-ma consistente[11]- gruppo
di poesie in italiano raccolte nella summenzionata pubblicazione.
Le
poesie in italiano che si ricontrano in questa raccolta sono sedici
(quattordici sono originali e due sono traduzioni) e si iscrivono in un arco di
tempo che vanno all’incirca[12] dal
1905 fino al 1936. Come ci si aspetta da un religioso, la maggioranza tratta
motivi religiosi o religiosi/encomiastici inneggianti alla Madonna e ai santi
dell’Ordine carmelitano, come a Santa Maria dei Pazzi, a Santa Teresa di Gesù e
a San Alberto degli Abbati. Alcuni hanno elementi bucolici, che servono però quasi
sempre come sfondo a qualche riflessione di natura teologica o politica. Le
poesie, che dal punto di vista formale sono tutte di stampo classico, si
possono dividere in tre gruppi: primo, sonetti, un’elegia e una canzone;
secondo, inni o canzoncine; terzo, traduzioni.
Fra le poesie
spicca la canzone Nell’annua ricorrenza
della Vergine del Carmine. Si tratta di una canzone tradizionale di sette
strofe, ognuna di quindici versi con il seguente schema: AbacDcEeffgHiih. Si
tratta di una canzone con stanze di endecasillabi e settenari liberamente
costruiti, ma tutte aventi la struttura della prima (come enunciava il Bembo),
vale a dire una canzone che s’è evoluta nel Cinque e Seicento da quella
petrarchesca però lontana dalla canzone libera leopardiana. Il linguaggio è
forbito, ricco inoltre di dittologie (questo
superbo e misero mortale, v.5; che di
dolori e di travagli è fatto, I,v.12), di termini arcaici e di latinismi (are 4,v.1). La poesia è una preghiera
rivolta alla Madonna, invocata come madre che ha pietà per i suoi figli che ne
hanno bisogno particolamente ora che la
progenie è traviata (6, vv.4-5).
Molto interessante la terza stanza in cui il poeta si lamenta che il suo secolo
sia così diverso dal Medioevo: Come da’
prischi secoli diverso/ è il secolo in cui i’ nacqui!. Questa struggente
nostalgia per il Medioevo era diffuso nei poeti romantici cattolici
ottocenteschi, visto come l’epoca in cui le verità teologiche avevano tanta
risonanza nelle arti e nella letteratura (basti menzionare la Divina Commedia) che il neoscolasticismo
metteva di nuovo in rilievo proprio allora. Che Cuschieri avesse dimestichezza
con scrittori cattolici romantici è testimoniato dall’accenno alle cattedrali
dedicate nel Due e Trecento alla Madonna: Sacre
per l’universo/sorgean le cattedrali/al tuo nome (vv3-5) innalzate per mano
del possente genio dei padre
(vv.9-10)[13]. Era il
romantico Chateaubriand che nel suo bestseller Genie du Christianisme parla con trasporto dell’emozione che si
prova stando dentro una cattedrale gotica.[14] Ed è
significativo il termine “genio” che evoca lo stesso termine del titolo
dell’opera del francese. Nella quarta stanza
il poeta si lamenta dell’impoverimento dell’arte (Ecco nel fango/io veggio impaludare/i cuori insieme e l’arte),
risultato del ruolo subordinato della letteratura alla scienza e alla filosofia
(come suggerivano gli Illuministi), su cui attirò l’attenzione il critico Snow[15] negli
anni Cinquanta, e su cui è tornato recentemente a porre l’accento un critico
italiano, Girardi: per questo si nota la “decadenza della civiltà occidentale”[16], di cui
si lamenta appunto il poeta maltese. Cuschieri rileva pure il caos e il disordine
causati dalla Riforma Protestante, chiamata bieca
ira (v.5), per cui si creò la scissione all’interno della religione cristiana
(scissa venne in parte la religion degli
avi , vv.6-7); in uno studio sul poeta Battista Spagnoli Cuschieri stesso
fa riferimento al danno provocato dalla Riforma con riferimento allo scritto
dell’italiano De calamitatibus temporum[17]. Secondo
me, il poeta accennerebbe pure alla perdita del prestigio e del potere
temporale della Chiesa causata prima dalla Rivoluzione Francese e in seguito dall’Unità
d’Italia nel 1860 con l’espressione abbattendo are e troni (v.14), che rende
deserte (v.2) le prime. Questa
nostalgia per un’Europa che riconosca l’autorità del Papa si riscontra
nell’elegia Ai caduti di ieri (1915) in
cui il poeta è più esplicito:
Dormite, o
morti. Sotto il Pontefice
di Roma, tutta, come nei secoli
di mezzo, la morta
Europa chi sogna risorta?
una di fede di cor di patria
sogno la gente nova
Per il poeta non si tratta di un desiderio
utopico perché più avanti dichiara che non sogna, e che fra la nebbia scorge la croce, mentre dilegua
l’urugano. Nonostante questa posizione antistorica, occorre riconoscere che
questa poesia, Ai caduti di ieri, fu
composta nel 1915 quando già era scoppiata la prima Guerra mondiale e il papa
Benedetto XV era rimasto neutrale, per la prima volta nella storia della Chiesa[18], per cui
questa avrebbe riguadagnato un po’
dell’antico prestigio: allora quello che Cuschieri considerava sogno (un’Europa unita che abbracciasse
i valori cristiani sotto l’egida del Papa, che era, mutatis mutandis, la tesi neoguelfa del Gioberti estesa a tutto il
continente) poteva in qualche maniera apparire un’idea allettante presso la comunità
cattolica. Occorre riconoscere inoltre, anche se a un livello più profondo, che
i poeti italiani ottocenteschi, anche laici, che Cuschieri leggeva non
escludevano la dimensione religiosa, anzi ne facevano tesoro perché è questa
che “ci distingue dalle bestie”, come rileva il Pascoli nella Prefazione ai Canti di Castelvecchio[19],
un poeta così caro al maltese, che ne
aveva l’antologia curata dal Pietrobono dove si può notare la firma dello
stesso Cuschieri[20]. La
poesia, dal tono elegiaco, consta di tredici quartine, dove i primi due versi
sono endecasillabi, il terzo scenario e il quarto novenario; gli ultimi versi
rimano. La scena, che si svolge in un
cimitero, ricorda da vicino Il giorno dei
morti del Pascoli. Valgano a mo’
d’esempio le quartine seconda e quarta, dove la rima voci con croci echeggia
quella pascoliana dell’omonimo poemetto (Ch’io
l’oda il suono della vostra voce/ora che più non romba la procella:/ io dormirò
con le mie braccia in croce):
Io, io, da
questo cor, voglio poveri
morti, a voi, sotto quel gelo, l’alito
mio venga e vi porti
la pace beata dei morti...
Qui, sotto
questo strano funereo
lenzuol di neve, stanno; qui suonino
pietose le voci
o madri, tra lampade e croci.
A mio
parere, sarebbe da ascriversi alla sua influenza la forte carica patriottica (italiana,
naturalmente) nella poesia Stella Maris,
con l’esplicita menzione di Trento e Trieste redente (si ricordi l’entusiasmo
del Pascoli per la colonizzazione della Libia del 1911-12; e la conquista delle
terre fuori dell’Italia, come nel poemetto Italy):
e vorrebbe che i giovani italiani fossero spronati dall’aiuto soprannaturale
per realizzare quest’impresa :
Ai giovani alpini
chi dona
L’ardire che sfida la morte?
Chi rende l’Italia sì forte;
Sì cara, sì
dolce, sì buona?
Ci
guidi nell’aspra tenzone,
Ci scorga ver l’ultima meta.
O Trento, o Trieste, ecco a voi
Già vengono cantando gli eroi...
Oltre al
Pascoli, si sente l’influenza del Carducci specialmente nel modo in cui
Cuschieri riesce a dare vita con poche pennellate, proprio come nello stile
bozzettistico del poeta della Terza Italia. Eloquenti di questo bozzettismo
sono le prime due quartine della poesia Caivano,
che è composta di due sonetti, di cui si riportano le prime due quartine:
Io ti vidi,
Caivano. I tuoi sentieri
lunghi fuggenti per l’erboso piano
vidi: splendea l’estate; lungi in neri
vortici protendeasi il Vulcano.
E vidi i tuoi bifolchi umili e fieri
artefici spezzar
col ferro in mano
la gleba dura: ridea ne i verzieri
il purpureo fior del melograno.
Questo
paesaggio idilliaco e tranquillo viene però messo in stretto rapporto con la
forza dell’Italia, come se questa fosse la conseguenza della fierezza, della
risolutezza dei suoi contadini (E cantava
il cordaio. Per te giova/le funi attorcigliar, per le tue navi/ O Italia nostra, o Roma antica e nova).
Su questa dignità dei contadini italiani Cuschieri poteva trovare esempi
letterari e storiografici. L’umanista Battista Mantovano, che il poeta maltese
conosceva bene, avendone fatto uno studio su cui s’è fatto già cenno e avendone
fatto la pregevole traduzione in italiano dal latino dell’inno a S.Alberto
degli Abbati[23], nelle
sue Egloghe ritrae una visione realistica
(e positiva) del mondo contadino, e guarda con affetto e simpatia ai personaggi
descritti; inoltre Burckhardt rileva che in Italia «l’abitatore delle
campagne...aveva dignità d’uomo»[24]. Questa
dignità di sicuro fa da supporto al mito latino propagandato dal fascismo
proprio in quegli anni. La “patria”, per Cuschieri, è legata inoltre alla “religio”: nel secondo
sonetto il poeta apprezza la fede degli abitanti di Caivano, i quali, sotto la
minaccia del vulcano Vesuvio, si rifugiano nel santuario della Madonna di
Campiglione, convinti che questa li aiuterà nei momenti difficili. È presumibile
che il poeta vi sia stato non solo perché Caivano si trova a nord della
Campania (e Cuschieri studiava nella vicina Roma) ma anche perché il santuario dove si custodisce la famosa e
miracolosa icona (che il poeta menziona nell’ultima terzina) è gestito proprio dai
Carmelitani.
Mentre Caivano è una poesia che congiunge
paesaggio e devozione mariana degli abitanti della cittadina campana, Alla Vergine del Carmine (1914) fa lo
stesso ma questa volta con gli abitanti maltesi. Valga la pena di riportarlo
per intero per poi farne i debiti commenti:
Non mai ti vidi
così bella come
ora ti vede il cor che piange e
implora,
bellezza senza uguale senza nome,
dolce
candor ch’eterna alba colora.
Laudata sii nel velo onde s’infiora
oggi la patria mia che le non dome
torri mai da selvaggia ira e le chiome
di miel aulente al sol di luglio
indora.
Quando fulva l’estate a noi s’avvia
e pei campi del
gran la melodia
delle cicale si diffonde ed erra,
Quando al bollente dì s’infiamma e splende
Il mar nostro, di te, Madre, s’accende
Come l’estate il cor de la mia terra.
Nella
descrizione della Vergine, secondo il nostro parere, si possono cogliere espressioni del Cantico dei cantici: nella poesia la
Madonna è l’alba come nel Cantico (Quae est ista quae ascendit quasi aurora consurgens, 6,10); porta
il velo ed è bella come nel Cantico
(4.1); l’accenno al grano è simbolico,
ricalcato su quello del Cantico: Venter tuus sicut acervus tritici vallatus
liliis (7,3). Il poeta tesse la bellezza di Maria con quella del paesaggio
maltese, vista quest’ultima dipendente da quella della prima: Laudata sii nel velo onde s’infiora/oggi la
patria mia. Fra Malta e la Madonna ci sarebbe un legame forte simile a
quello fra la madre e il figlio; e tutte le creature (uomini, animali e piante)
sono in una sola armonia con Lei. Quel laudate
ci ricorda Il Cantico di frate sole
di S. Francesco. Però il poeta avrà visto il termine anche in una delle più
belle poesie di D’Annunzio, La sera
fiesolana ( Laudata sii per le tue
vesti aulenti). Cuschieri infatti adopera l’aggettivo dannunziano aulenti nella stessa quartina per
descrivere il miel. E tutta
dannunziana è la cura per l’allitterazione (di
miel aulenti al sol di luglio) e all’assonanza (eterna alba colora). L’accenno alle cicale è pure di ascendenza
dannunaziana che si riscontra nella Pioggia
nel pineto.
La
carica romantico-mistica del sonetto Alla
Vergine del Carmine si riscontra (in
disugual misura però) nei tre sonetti che celebrano i santi dell’Ordine
carmelitano: Maria Maddalena dei Pazzi,
Elia di Tesbe e Teresa di Gesù. È vero che Il rapporto che questi santi stabiliscono
con la divinità è molto intimo, quasi sensuale, però la retorica ha il
sopravvento sul momento lirico (ad esempio, l’accenno al Bernini nel sonetto
dedicato a Teresa di Gesù, e quello a
Firenze nel sonetto alla santa fiorentina appesantiscono le due poesie con
notazioni troppo particolareggiate, viziandone la carica lirica). Occorre però riconoscere
che il sonetto che tratta di Maria
Maddalena dei Pazzi è molto raffinato e nel motivo del suo rinchiudersi nel
silenzio claustrale (silente ombra
claustrale) per vivere la sua intimità con Dio (con dedizione e delicatezza
sentimentale tutta femminile) fa ricordare al lettore la figura dantesca di Piccarda;
come quest’ultima stava di giorno e di notte (“vegghi e dorma”) con Gesù, suo
“sposo”, nella “dolce chiostra”[25], anche
Teresa, infatti , vive il rapporto mistico (e sensuale al contempo) fra sé,
monaca, e il Redentore, come si legge nella chiusa del sonetto: O dolci o belle/notti quando invocato con
desio/forte accorreva e la baciava Iddio.
Tale
lirismo non si trova nell’ultimo gruppo di canzoncine:. Si levi a Maria, Fior del
Carmelo e Voce dall’alto. Queste
costituiscono un gruppo a sè perché furono composte per essere musicate e cantate.
Si leggano i versi della prima strofa della prima canzoncina: Si levi a Maria/un grido festoso/un pianto
amoroso/sia dolce versar./Ave Ave Ave Maria. Subito ci si accorge
che si tratta delle odicine metastasiane composte di brevi versi molto cantabili.
In ambito religioso fu S.Alfonso Maria de Liguori il quale ne aveva sfruttato
tutta la carica per le sue canzoncine, fra cui la famosa Tu scendi dalle stelle. Cuschieri n’era consapevole perché il libro
devozionale di De Liguori, Le glorie di
Maria, che contengono alcune di queste canzoncine, era noto in tutti gli
ambienti cattolici, specie presso gli Ordini che coltivavano la devozione verso
la Madonna, come appunto quello carmelitano. Cuschieri sfruttò questo tirocinio
nello scrivere canzoncine in italiano per i molti inni in maltese. Sono da
approfondire i legami di questi inni in maltese con quelli italiani, da cui
sarebbero derivati[26].
Per
quanto riguarda le traduzioni se ne hanno due: Il papavero e Inno a S. Alberto degli Abbati. La prima è la
traduzione in italiano nel 1936 di una poesia in maltese intitolata Il-Pepprina di Monsignor Gauci[27]. Si
tratta di un’odicina composta di quartine di settenari con il seguente schema;
abab cded. La poesia originale intendeva commemorare i morti della Grande
Guerra, il che spiega il titolo Il-
Pepprina, un fiore associato ormai con eventi bellici. La traduzione sarebbe
alquanto accademica. L’altra traduzione è dell’inno latino a S.Alberto degli
Abbati di Giovan Battista Mantovano. Questo santo carmelitano siciliano era
nato a Trapani nel 1250 ed era morto a Messina nel 1307, e visse in odore di
santità. Il poeta italiano, lo Spagnoli, noto appunto come il Mantovano, aveva
composto un bellissimo inno in latino costituito di strofe saffiche. Il poeta
maltese nella traduzione in italiano conserva le stanze saffiche, nonché l’eleganza
classica, la compostezza e l’ipotiposi, vale a dire il linguaggio
contraddistinto da descrizioni vivaci e ricchezza di particolari: la grandezza
del santo viene inserita nel paesaggio siciliano, che, a sua volta, ne viene
potenziato perché fa da sfondo alla sua opera di taumaturgo. Questo inserire la
nascita e la vita del santo in un dato paesaggio è una tecnica che risale a
Dante (basti ricordare i canti del Paradiso,
relativi a san Francesco e san Domenico); e infatti è mirabile l’osmosi che si
crea fra il Lilibeo, l’Erice, la Trinacria e Messina da
una parte e i miracoli del santo dall’altra. Non si ha la data di questa
traduzione: molto probabilmente il poeta la tradusse quando faceva lo studio
sulla sua poesia. Sapeva però che sarebbe stata apprezzata nell’ambiente
carmelitano.
Da
questa breve analisi delle sue poesie, alquanto esigue, in italiano, si può
concludere che a distinguere i suoi prodotti poetici dall’alto carattere
religioso è una forte sensibilità coniugata a una sottile perizia tecnica
(attinta ai migliori poeti italiani), che egli sfruttava a seconda del soggetto
che l’occasione spesso suggeriva. Per questo motivo il linguaggio può essere a
volta vigoroso ed espressivo, molto eloquente, consono alla tensione morale,
sull’esempio di un Nicolò Tommaseo, ma a volta languida, dai toni morbidi e
sensuali, tipici del tardo romanticismo. A nostro parere, in Cuschieri sarebbero
queste due costanti (la sensibilità e la
perizia tecnica) a caratterizzare anche la sua produzione poetica in maltese.
[1] Charlò Camilleri, Toni Cortis, Kitbiet Miġbura I, Poeżiji, Il-Karmelu,
Malta 2013.
[2]Ibid. p.30, pp.215-8.
[3] Fra questi vedi quello di Alfred Degabriele del 1967 e riedito in
Cuschieri, Il-Poeta tal-Madonna u
tal-Kelma Maltija, Lux Press, Malta 1976 (con introduzione del Prof. Gużé
Aquilina) e quello di Joseph Mangion, Il-Kitbiet
ta’ Joseph Mangion, Penprint Ltd, Malta 1997. Sono numerose le tesi
universitarie che non sono pubblicate.
[4] Si fa riferimento a una polemica
fra Anastasio Cuschieri e Bernardino Varisco. A un articolo di Varisco
Bernardino, «Problemi e soluzioni», Rivista
di filosofia neoscolastica, A. 7, febbraio 1915, risponde Anastasio
Cuschieri, «A proposito di soluzioni e problemi», Rivista di filosofia neoscolastica, A.7, febbraio 1915. Vedi pure Oreste
Ferdinando Tencajoli, Poeti maltesi
d’oggi, Angelo Signorelli, Roma, 1932, pp.110-111. Vi si rileva una sua
“ardente polemica”(p.111) con Benedetto Croce. Su questi scritti filosofici di
Josette Attard, vedi «Leħen il-Malti» luglio 2013; qui la ringrazio per avermi
gentilmente comunicato notizia della polemica fra il filosofo maltese e quello
italiano (Varisco).
[5] Anastasio Cuschieri, Un poeta carmelitano in «Malta letteraria», Anno II, n.23, marzo,
Malta 1906.
[6] Tencajoli in op,cit, menziona il Genio e la «Rivista Storica
Carmelitana».
[7] Famoso il primo panegirico nel 1901 nella
Chiesa Collegiata dell’Immacolata Concezione.Si tratta di uno studio di un
famoso poeta e umanista cinquecentesco carmelitano, G.B.Spagnoli.
[8] Da ricordare I pericoli della gioventù nella sciena e letteratura moderna del
1902
[9] Discorso inaugurale intitolato La messa riparatrice nel Congresso
Eucaristico Internazionale del 1913 tenuto nella Chiesa di Mosta.
[10] Per queste vicende dolorose e traumatiche,
vedi Max Farrugia, L-Internament u
L-Eżilju, Pin, Malta, 2007.
[11] Testimonianza di questa validità poetica
è il suo essere incluso nell’antologia del Tencajoli, insieme ai più validi
poeti maltesi d’allora fra cui spicca Carmelo Psaila, il futuro poeta
nazionale.,
[12] Alcune poesie non sono datate per cui i
tempi sono approssimativi
[13] Per la funzione delle cattedrali, si veda
Significato e funzione della cattedrale,
del Giubileo e della Ripresa della Patristica dal Medioevo al Rinascimento (Atti
del Convegno internazionale Chianciano Terme.Pienza 18-21 luglio,2011), a cura
di Luisa Secchi Tarugi, Cesati, Firenze 2013.
[14] Francois René Chateaubriand, Il genio del cristianesimo,vol.II,
trad.Luigi Toccagni, Perelli, Milano, 1846, p.120: ‘Tu non puoi metter piede in
una chiesa gotica, senza provare una specie di tremito, e un cotal vago
sentimento della Divinità”.
[15]
Charles Percy Snow, The Two cultures and
the Scientific Revolution, Cambridge University Press, New York 1959.
[16] Enzo Noè Girardi, Letteratura italiana e religione, Jaca Book, Milano 2008, p.9.
[17] Anastasio Cuschieri, Un poeta carmelitano, op.cit..
[18] Si veda Claudio Rendina, I papi, storia e segreti,
Newton-Compton, Roma 2006, p.786.
[19] Pascoli scrive: “Ma la vita, senza il
pensier della morte, senza, cioè, religione, senza quello che ci distingue dalle
bestie, è un delirio, o intermittente o continuo, o stolido o tragico” (Prefazione di Canti di Castelvecchio).
[20] Luigi Pietrobono (a cura di), Poesie di Giovanni Pascoli, Zanichelli,
Bologna, 1926.
[21] Si tratta del profeta Elia, santo
dell’Ordine Carmelitano.
[22] Si tratta di san Simone Stock, un altro
santo carmelitano.
[23] Cuschieri conserva le stanze
saffiche; vedi Camilleri Charlò, Cortis Toni, op.cit, pp.241-245.
[24] Carl Jacob Burckhardt, La civiltà del Rinascimento in Italia,
vol.II, trad.di D.Valbusa, Firenze,
Sansoni, 1921, p.89.
[25] Dante Alighieri, Paradiso,III,100-1; 109.
[26] Ad esempio, su segnalazione di
Alfred Degabriele sarebbe traduzione di un inno popolare italiano della Nostra Signora del Sacro Cuore quello
che si suona e si canta nella festa della parrocchia della Madonna del Sacro
Cuore di Sliema. (Charlò Camilleri, Toni Cortis, op.cit., p.215).
[27] In «Santa Rita», Malta, nov..1935, .